Il tema dei reati edilizi è sempre attuale, sia per la facilità cui è possibile incorrervi, sia per i molteplici tipi di interventi che costituiscono abuso edilizio. I reati edilizi possono essere sanati, nei casi previsti dalle norme, ovvero demoliti dai responsabili dell’abuso e, in caso di inerzia, si procede mediante demolizione d’ufficio a spese dei responsabili coinvolti nel procedimento.
Per stabilire la possibilità di intraprendere il procedimento di sanatoria occorre eventualmente stabilire la casistica di appartenenza dell’abuso, l’entità delle opere realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, l’epoca di realizzazione, i soggetti coinvolti (proprietari, titolari, direttore dei lavori, responsabile di cantiere, impresa esecutrice, ecc.). Qualora non sia possibile procedere a una delle forme di sanatoria dei reati edilizi previste dalle vigenti norme in materia, sarà inevitabile la demolizione volontaria o forzosa delle opere che risultano realizzate in mancanza o in difformità dei titoli abilitativi posseduti.
È di notevole interesse sapere che per abuso di lieve entità risalente alla fine degli anni ’50, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo il provvedimento demolizione d’ufficio, poiché la differenza tra l’edificio licenziato nel 1958 e l’edificio realizzato consiste soltanto nella maggiore superficie di mq 3,194 per 2 piani, per un totale di circa mq 6,55 e nel fatto che il fabbricato è stato costruito in una posizione leggermente diversa da quanto indicato in linea di massima nel progetto uno spostamento di circa 45 metri. (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2512 ).
Il carattere lieve di tali difformità, anche in considerazione del fatto che nel progetto approvato con la licenza edilizia del 1958 mancavano quote o misure che vincolassero l’esatta localizzazione dell’edificio, essendo presenti solo indicazioni di massima, rende immotivata la qualificazione di tali difformità in termini di variante essenziale e, dunque, di abuso totale.
Va, peraltro, rilevato che, anche a ritenere vincolanti le indicazioni (di massima ) contenute nel progetto approvato relative alla localizzazione dell’edificio, la fattispecie di indebita traslazione della localizzazione dell’edificio sul lotto è stata introdotta solo con l’art. 8 della legge n. 47 del 1985 (oggi trasporto nell’art. 32, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001), in epoca cioè ampiamente successiva rispetto alla realizzazione dell’intervento in oggetto.
A ciò deve aggiungersi il notevole lasso temporale trascorso dalla commissione del supposto abuso (risalente alla fine degli anni ’50) e l’adozione del provvedimento di demolizione (avvenuta nel 2010).
L’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera; ma deve intendersi fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato. (Consiglio di Stato sez. V 15 luglio 2013 n. 3847).
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