Gli ingegneri che rivestono la carica di amministratore e sindaco di una società attiva nel settore edilizia deve versare a Inarcassa i contributi sui redditi di compensi percepiti come amministratore e sindaco. Lo dice il parere della Corte di Cassazione (sezione lavoro) espresso con la sentenza n. 5827 dell’8 marzo 2013. È stata così cassata la sentenza della Corte d’appello di Roma ed è stato accolto il ricorso di Inarcassa.
La Cassazione scrive anzitutto che sulla materia la giurisprudenza della Cassazione non è univoca. Due sono infatti gli orientamenti:
– secondo il primo orientamento, quello della Corte d’appello di Roma, “non è configurabile alcun obbligo contributivo in relazione al reddito prodotto dal professionista ove questo non sia direttamente collegabile all’esercizio dell’attività libero professionale per la quale vi è stata l’iscrizione in appositi albi o elenchi” (Cass. nn. 11154/2004; 4057/2008; 11472/2010);
– il secondo orientamento “l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima” (Cass. n. 20670/2004 e n. 14684/2012).
Il secondo orientamento è quello a cui aderisce la sentenza n. 5827/2013 della Cassazione cui facciamo riferimento in questo articolo. Il concetto di “esercizio della professione” deve essere interpretato tenendo conto dell’evoluzione subita che ha comportato per la professione di ingegnere “l’assunzione di connotazioni ben più ampie e di applicazioni diversificate rispetto a quelle originariamente previste”.
Nel concetto di “esercizio della professione” di ingegnere “deve ritenervisi ricompreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi), anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un ‘nesso’ con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale”.
L’obbligo contributivo a Inarcassa è escluso “solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile una connessione tra l’attività svolta e le conoscenze tipiche del professionista, in linea con quanto suggerito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 402 del 1991 (resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori)”.
La Consulta ha dichiarato che il prelievo contributivo “è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione, vale a dire le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune”.
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