Condono, prova epoca di realizzazione abuso: regola generale ed eccezione

L’onere della prova circa la preesistenza delle opere grava sul privato che presenta istanza di condono edilizio, e la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca… Vediamo qualche esempio

Mario Petrulli 20/05/24
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È noto che, secondo consolidata giurisprudenza, l’onere della prova circa la preesistenza delle opere grava sul privato che presenta istanza di condono edilizio[1], in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto[2].

Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto, relativamente ad un immobile realizzato in assenza di titoli edilizi, solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere di sanabilità di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime normativo dello ius aedificandi[3].

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Indice

Condono e prova dell’epoca di realizzazione abuso

La giurisprudenza ha altresì chiarito che la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, «dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate»[4].

Essendo l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, «i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo»[5].

L’eccezione

Non può tuttavia sottacersi dei temperamenti a tale indirizzo introdotti in omaggio al principio di ragionevolezza, proporzionalità e logicità, allo scopo di scongiurare l’imposizione di un onere probatorio impossibile da adempiere avuto riguardo alla risalenza nel tempo dei manufatti[6]: ciò laddove, da un lato, il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti e non equivoci (quali, ad esempio, aerofotogrammetrie o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti) e, dall’altro, il Comune non valuti debitamente tali elementi e fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio[7].

Un caso concreto

Un caso che ben può considerarsi rientrante nell’eccezione alla regola generale è stato oggetto di valutazione del TAR Lazio, Roma, sez. IV-ter, nella sent. 1° marzo 2024, n. 4119. Nello specifico, i giudici hanno ritenuto convincenti i seguenti elementi probatori in merito alla realizzazione del manufatto da condonare (locale tamponato da considerarsi veranda) entro il 31.12.1993:

  • due fatture emesse nel 1993, riguardanti la “fornitura e posa in opera di infissi in legno di varie misure e di pannelli in truciolare di pioppo, presso l’immobile oggetto della domanda di condono”;
  • la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata per conto di un fornitore, emittente di una delle fatture di cui al punto precedente, emessa nel mese di gennaio 1993, in cui si affermava che la fattura si riferiva ad opere eseguite entro il 31 dicembre 1993;
  • le dichiarazioni scritte dei clienti, depositate agli atti del procedimento di sanatoria in data 20 marzo 2006, tutte di analogo tenore, nelle quali si afferma di aver usufruito della “veranda” oggetto di condono, posta a destra dell’entrata del locale fin dagli anni ’80;
  • una relazione tecnica asseverata redatta per conto i precedenti titolari del ristorante interessato dall’intervento da condonare, relativa alle opere da realizzare con una D.I.A., in cui si fa riferimento al “rifacimento della tompagnatura perimetrale con materiali analoghi a quelli sostituiti”;
  • le testimonianze di un impiegato dell’Ufficio Tecnico Comunale che aveva eseguito alcuni accessi al locale e di un commercialista che aveva curato la fase di negoziazione relativa alla compravendita dell’immobile, utilizzate durante un procedimento penale e che, in modo concorde, confermavano l’esistenza delle tamponature.

Tali elementi forniti, secondo i giudici, rivestivano un “alto grado di plausibilità” circa l’avvenuta realizzazione delle opere entro il 31 dicembre 1993. Ed infatti, è noto al riguardo che la prova dei fatti posti a fondamento della domanda può essere offerta anche mediante il ricorso alle presunzioni che siano dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza così come richiesto dall’art. 2729 c.c.

Il requisito della gravità implica la necessità di un elevato grado di attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice: ciò non significa comunque che l’affermazione dell’esistenza del fatto ignorato debba desumersi dal fatto noto con assoluta certezza, essendo sufficiente un grado di probabilità superiore a quello che spetta all’opposta tesi della sua inesistenza. Analoga conclusione viene accolta dalla prevalente giurisprudenza, la quale non richiede che, attraverso l’inferenza presuntiva, si raggiunga l’assoluta certezza in ordine all’esistenza del fatto da provare, ma ritiene sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra questo ed il fatto noto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità e con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza[8].

Il requisito della precisione evoca a sua volta un concetto di non equivocità, valendo ad escludere la validità del ragionamento presuntivo ove dallo stesso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare. In linea con quanto detto circa il requisito della gravità, la conseguenza circa l’esistenza del factum probandum non deve necessariamente configurarsi come l’unica possibile, essendo sufficiente che essa sia la più probabile tra quelle che possono derivare dal fatto noto.

La concordanza, infine, si riferisce alla necessaria convergenza sulla medesima conclusione di una pluralità di presunzioni semplici.

Nella fattispecie in esame, l’interessato ha fornito una serie di elementi indiziari, quali fatture di acquisto dei materiali, relazione tecnica asseverata, dichiarazioni sostitutive di atto notorio e testimonianze rese in altro giudizio, che, unitariamente considerati, assumevano i connotati della gravità, precisione e concordanza e consentono di inferire che le opere siano state realizzate entro il termine richiesto dalla disciplina condonistica.

Note

[1] Cfr.: Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sent. 13 marzo 2023, n. 219 e sent. 8 marzo 2019, n. 225; Consiglio di Stato, sez. II, sent. 4 gennaio 2021, n. 80; sez. VI, sent. 17 maggio 2018, n. 2995.
[2] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 26 gennaio 2024, n. 853; sez. VII, sent. 29 settembre 2023, n. 8594; sent. 7 agosto 2023, n. 7628 e sent. 24 marzo 2023, n. 3011; sez. VI, sent. 12 ottobre 2020, n. 6112; sent. 18 maggio 2021, n. 3853.
[3] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 25 maggio 2020, n. 3304.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 20 aprile 2020, n. 2524; sent. 4 marzo 2019, n. 1476; sent. 9 luglio 2018, n. 4168; sent. 30 marzo 2018, n. 2020.
[5] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 3 gennaio 2022, n. 4.
[6] Consiglio di Stato, sez.VI, sent. 18 luglio 2016, n. 3177; sent. 13 novembre 2018, n. 6360 e sent. 19 ottobre 2018, n. 5988.
[7] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 20 gennaio 2020, n. 454.
[8] Ex multis, Cass. civ., n. 20342/2020.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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