Attività commerciale e regolarità edilizia dei locali: due recenti sentenze e un caso di difformità parziale

C’è una necessaria correlazione tra lo svolgimento di attività commerciale e la perfetta conformità edilizia-urbanistica dei locali. Vediamo due recenti sentenze in merito, e un caso di difformità parziale.

Mario Petrulli 13/05/24

Come è noto, tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale va senz’altro annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività viene svolta, rispondendo ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato uno spazio, con la presenza di utenti pubblici, in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia: è quanto ribadito dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sent. 8 aprile 2024, n. 3182[1].

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il legittimo esercizio di un’attività commerciale è ancorato, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo che per l’intera durata del suo svolgimento, all’iniziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dei locali in cui essa viene espletata. Similmente, secondo il TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 2 maggio 2024, n. 965, la regolarità urbanistica rappresenta una condizione cui la legge subordina l’esercizio dell’attività di somministrazione.

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Indice

La mancanza della regolarità edilizia-urbanistica

Dato che, come evidenziato dalle sentenze citate (e da un orientamento pacifico), tale necessaria correlazione tra lo svolgimento di attività commerciali e la perfetta conformità edilizia-urbanistica dei locali è un requisito sostanziale, che deve sussistere sia al momento del rilascio dei titoli abilitativi che successivamente, nel momento funzionale, per l’intera durata del suo svolgimento, la P.A.:

non può autorizzare l’insediamento di un’attività commerciale in contrasto con la disciplina urbanistica;

– ha il potere-dovere di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi[2]; ed infatti, secondo la giurisprudenza, è legittima la decadenza della SCIA commerciale per l’acclarata irregolarità urbanistico-edilizia dei locali adibiti ad esercizio di somministrazione[3];

non ha margine discrezionale in merito alle iniziative da intraprendere (ritiro dell’autorizzazione commerciale già rilasciata e, in ogni caso, la chiusura dell’esercizio), da considerarsi doverose[4]: in particolare, la chiusura dell’attività svolta in locali abusivi costituisce, infatti, espressione di un potere sanzionatorio vincolato, conseguenziale all’accertata illegalità degli immobili, con l’ulteriore conseguenza che non rileva l’eventuale mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento[5];

– ha un onere motivazione facilitato: se è fuor di dubbio che le determinazioni assunte in ordine alla cessazione dell’attività commerciale in precedenza autorizzata debbano trovare nel provvedimento adottato un’idonea motivazione, tuttavia la mancanza della regolarità urbanistica-edilizio (che impedisce di ritenere agibili i locali) rappresenta presupposto da solo sufficiente ad interdire l’attività commerciale[6].

Un riferimento normativo rilevante

Un preciso riferimento normativo di tale principio è rinvenibile nell’art. 3, comma 7, della Legge n. 287/1991 (“Aggiornamento della normativa sull’insediamento e sull’attività dei pubblici esercizi”), secondo cui le attività di somministrazione di alimenti e di bevande “devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici, fatta salva l’irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate”.

Difformità parziale: un’apertura giurisprudenziale

Secondo il TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 28 dicembre 2021, n. 1917, “non può essere ordinata la chiusura dell’attività commerciale relativamente all’intera struttura, a fronte di un’abusività soltanto parziale dell’immobile, la quale rende sproporzionata l’inibizione totale dell’attività stessa[7].

Nel caso specifico le difformità contestate (consistenti nel diverso posizionamento di alcune tramezzature interne, nel diverso dimensionamento delle aperture esterne, in una diversa altezza interna di taluni ambienti per pochi centimetri e, per lo più, in diminuzione, nella diversa distribuzione dei pannelli solari sulle coperture, nella realizzazione di un piccolo vano tecnico e di camminamenti esterni, ecc.) risultavano di carattere minimale, sicché vietare in toto l’attività commerciale sarebbe stato, secondo i giudici, “in contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, finendo per imporre un ingiustificato sacrificio alla parte privata[8].

Note

[1] Cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 1° giugno 2022, n. 3731: “Questa Sezione ha affermato che la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dell’art. 24 comma 3, d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico – edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata. ( T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 settembre 2019, n. 4453)”.
[2] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 27 luglio 2020, n. 4774; sez. III, sent. 26 novembre 2018, n. 6661; sez. V, sent. 17 luglio 2014, n. 3793; sez. VI, sent. 23 ottobre 2015, n. 4880; TAR Campania Napoli, sez. VII, sent. 27 aprile 2020, n. 1496; sez. III,  sent. 1° agosto 2018, n. 5140.
[3] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 16 giugno 2022, n. 4097.
[4] TAR Toscana, sez. III, sent. 9 dicembre 2021, n. 1642; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 14 giugno 2019, n. 1219.
[5] Consiglio di Stato, sez. III, sent. 26 novembre 2018, n. 6661.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. III,  sent. 1° agosto 2018, n. 5140.
[7] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 6 aprile 2018, n. 2244; sez. VII, sent. 27 aprile 2020, n. 1496.
[8] I giudici leccesi hanno precisato quanto segue: “Giova precisare che il Collegio non ignora il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale l’accertata abusività dei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale non può che comportare la revoca dell’autorizzazione commerciale, senza che residui spazio a valutazioni di interessi o al disimpegno di attività discrezionale, atteggiandosi la revoca ad atto dovuto (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 09/12/2019, n. 5795; in termini, Cons. Stato, Sez. V, 21/04/2021, n. 3209; Cons. Stato, Sez. V, 29/05/2018, n. 3212; Cons. Stato, Sez. VI, 23/10/2015, n. 4880; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 26/11/2018, n. 6811). Tuttavia, la vicenda in esame si differenzia dalla casistica vagliata dalla cennata giurisprudenza per due ordini di motivi: in primo luogo si osserva che, dal momento che la cessazione di un’attività economica non può costituire ex se sanzione dell’abuso edilizio, devono considerarsi illegittimi i provvedimenti di inibizione dell’attività commerciale o economica per assunte presupposte violazioni alla disciplina urbanistico-edilizia che non si sono tradotte, come nel caso di specie, in provvedimenti sanzionatori edilizi conclusivi e tipici, quali le ordinanze di sospensione e di demolizione (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 27/02/2017, n. 1166; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 05/05/2016, n. 2248); in secondo luogo, nel caso in esame è stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 37 DPR n. 380/2001, con ciò viepiù confermando l’insussistenza delle condizioni sostanziali per l’adozione in via immediata ed urgente della drastica misura della chiusura dell’attività.”.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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