La fiscalizzazione dell’abuso nelle Regioni a statuto speciale secondo la Corte Costituzionale

Anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato dall’articolo 38 del t.u. edilizia (fiscalizzazione dell’abuso) per gli abusi edilizi sopravvenuti. Ecco un’analisi della sentenza n. 22/2025

Andrea Ferruti 14/03/25

Il titolo del comunicato stampa della Corte Costituzionale, secondo cui “anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato dall’articolo 38 del T.U. edilizia (fiscalizzazione dell’abuso) per gli abusi edilizi sopravvenuti”, potrebbe esaurire qualsiasi ulteriore analisi della sentenza n. 22 del 6 marzo 2025.

Con tale sentenza, infatti, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, L. Prov. Bolzano 10 gennaio 2022, n. 1, che aveva sostituito integralmente l’art. 94 della L. Prov. Bolzano 10 luglio 2018, n. 9 relativo agli interventi edilizi eseguiti sulla base di un titolo abilitativo poi annullato.
In particolare, l’art. 94, L. Prov. Bolzano n. 9/2018, come modificato dall’art. 4, co. 10, L. Prov. Bolzano n. 1/2022, costituiva attuazione temperata dell’art. 38, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che disciplina la sorte degli interventi eseguiti in base a permesso di costruire annullato, disposizione non incisa dal recente Salva Casa.

Tuttavia, la lettura della sentenza n. 22/2025 del giudice delle leggi consente di fare il punto sullo stato dell’arte in materia di abusi edilizi, sanatorie e condoni.
 
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Indice

Che cosa prevede l’art.38 del Testo Unico Edilizia

La cd. fiscalizzazione dell’abuso, quindi, è una speciale norma di favore che, giustamente, differenzia la posizione di colui che ha realizzato l’opera abusiva sulla base di un titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere, parimenti, abusive senza alcun titolo, in tal modo tutelando l’affidamento riposto dall’autore dell’intervento circa la presunzione di legittimità e comunque, sull’efficacia del titolo assentito.

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L’interpretazione giurisprudenziale

La parola “fine” sulla portata della norma, oggetto di un dibattito pluriennale tra giudici, studiosi ed operatori del settore riassunto nelle pagine 680 e ss. del libro sopra citato, dovrebbe essere stata pronunciata dal Consiglio di Stato con la sentenza dell’Adunanza Plenaria 7 settembre 2020, n. 17.

Quest’ultima sentenza, infatti, ha precisato che “in caso di annullamento del permesso di costruire, i vizi delle procedure amministrative cui fa riferimento l’art. 38 d.p.r. 380/01 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.

Fin qui la norma statale su cui si sofferma anche il punto 4.3 della sentenza della Corte costituzionale n. 22/2025 nei seguenti termini: “nell’impianto sanzionatorio del t.u. edilizia, gli artt. 36 e 38 devono dunque essere letti congiuntamente, non solo perché, per volontà del legislatore, il pagamento integrale della sanzione pecuniaria prevista dalla seconda disposizione ha la medesima efficacia sanante del permesso in sanatoria di cui alla prima, ma soprattutto in quanto espressivi dei medesimi principi. Entrambe le norme invero, laddove derogano all’ordinaria disciplina di governo del territorio introducendo ipotesi di sanatoria, realizzano un contemperamento di contrapposti interessi incidenti sul territorio, idoneo a garantire la tutela del paesaggio e dell’ambiente, di primaria importanza per la vita sociale ed economica. Esse presentano perciò una dimensione nazionale che non può subire differenziazioni regionali, meritando di essere qualificate alla stregua di norme fondamentali di riforma economico-sociale in quanto tali idonee a vincolare la potestà legislativa primaria regionale e provinciale (in senso analogo, sentenza n. 118 del 2019). In tale ottica, la nozione di impossibilità di ripristino (nella sua accezione tecnica, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata) e la commisurazione della sanzione al valore venale dell’opera abusivamente eseguita costituiscono criteri fondamentali delineati dall’art. 38 t.u. edilizia. Al legislatore provinciale non è dato pertanto introdurre elementi valutativi ulteriori della suddetta impossibilità, né sostituire la misura individuata quale “prezzo” da pagare per mantenere un immobile che andrebbe altrimenti demolito, né, infine, graduare la sanzione in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio”.

La disposizione della Provincia Autonoma di Bolzano

Alla luce di tale ricostruzione, secondo quanto si legge nella sentenza della Corte costituzionale n. 22/2025, quindi, l’art. 94 L. Prov. Bolzano n. 9/2018 andava al di là di quanto previsto dall’art. 38 Testo Unico Edilizia, ponendosi in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza amministrativa.

Nel punto 5.1 di tale sentenza, infatti, si afferma che “L’art. 94 della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, come sostituito dalla disposizione impugnata, viola, invece, sotto plurimi profili, i tratteggiati principi che sorreggono il disegno riformatore del legislatore statale. Innanzitutto, il comma 1, richiedendo di tenere in considerazione l’esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, introduce nuovi elementi valutativi, così in sostanza ammettendo che l’amministrazione possa operare, in sede di individuazione della sanzione (reale o pecuniaria), una nuova ponderazione con l’esigenza di tutela dell’affidamento del privato sulla bontà del titolo edilizio, fino a consentire addirittura di escludere del tutto la riduzione in pristino a fronte di lesioni urbanistiche lievi. Ma, come si è detto, una tale esigenza è estranea alla dinamica interna del citato art. 38 t.u. edilizia, essendo già stata presa in considerazione a monte dal legislatore statale nella definizione della stessa fattispecie e potendo semmai ulteriormente rilevare, a valle, solo in sede di azione risarcitoria del privato nei confronti dell’amministrazione. Inoltre, la medesima disposizione provinciale nel riferirsi al costo di costruzione dell’opera anziché al suo valore venale, va ad incidere su un elemento essenziale della stessa fattispecie sanante, il cui effetto si produce, appunto, solo con l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata. La determinazione di quest’ultima, dunque, non è affatto “indifferente” rispetto alla cornice dei limiti alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano. Ciò tanto più alla luce del fatto che il legislatore provinciale introduce altresì un ancora più eccentrico (per quanto appena detto) meccanismo di graduazione della sanzione medesima (da 0,8 a 2,5 volte l’importo del costo di costruzione), in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio. Infine, il comma 2 dell’art. 94, là dove consente la riduzione della sanzione pecuniaria (fino ad un importo che può essere nel suo limite minimo pari a quello previsto per l’oblazione per il permesso in sanatoria) in considerazione della sola sopravvenuta conformità urbanistica dell’opera – evidentemente abusiva per vizio sostanziale –, sortisce l’effetto di reintrodurre quella «sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione» che prescinde dal requisito della doppia conformità ex art. 36 t.u. edilizia e che l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 17 del 2020 ha voluto scongiurare”.

Conclusioni

Al di là del caso specifico, quindi, non può escludersi che il temperamento del dogma della doppia conformità di cui all’art. 36-bis Testo Unico Edilizia, introdotto dal Salva Casa, in uno con la legiferazione della sanatoria giurisprudenziale o della sanatoria con prescrizioni, possa essere sottoposto all’eventuale vaglio di costituzionalità da parte dei giudici amministrativi.

Ma forse è presto per fare previsioni.

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