Le procedure per la gestione delle terre e rocce da scavo (TRS nel seguito) e il connesso esonero dal regime di gestione dei rifiuti sono stati oggetto di numerose revisioni normative dal 1997, anno di emanazione del cosiddetto “decreto Ronchi”, fino ad oggi, anche a seguito del reiterato intervento sanzionatorio della Corte di giustizia europea a fronte di procedure di infrazione per scorretto recepimento delle Direttive europee in tema di rifiuti.
L’ultimo intervento normativo a carattere tecnico è quello del decreto legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante “Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale”. I primi due articoli del provvedimento riguardano provvedimenti in materia di rifiuti nella regione Campania (gli ennesimi) e norme in materia di commercializzazione di sacchi biodegradabili per asporto merci.
Il terzo articolo, rubricato semplicemente come “Materiali di riporto”, dispone che:
“1. Considerata la necessità di favorire, nel rispetto dell’ambiente, la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese, ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si intendono come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del predetto decreto legislativo.
2. All’articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Con il medesimo decreto sono stabilite le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.».”
La norma, sebbene appaia ad una prima lettura semplificativa (per usare un termine di moda) e lineare, ha ingenerato subito dubbi e perplessità nei tecnici che ogni giorno si trovano a dover sbrogliare l’intricatissima matassa normativa ambientale. Vediamo perché.
Una prima osservazione di carattere generale riguarda la motivazione addotta dal Legislatore nazionale (in questo caso il Governo) per l’adozione del provvedimento, ovvero non già la necessità di dover far luce su aspetti poco chiari o davvero semplificare la materia in oggetto, bensì “favorire la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese”. Come a dire che la colpa della crisi del comparto delle infrastrutture è riconducibile ai problemi connessi alla gestione delle TRS e, in particolare, alla matrice “materiale di riporto”. Più che semplificazione, sembra una banalizzazione, ma magari sono solo punti di vista.
Nel merito tecnico del provvedimento, invece, ciò che balza subito all’occhio è proprio l’introduzione del termine “materiali di riporto”, che non trova corrispondenze né nelle definizioni dell’articolo 183 del Testo Unico Ambientale (TUA), né in altre disposizioni normative vigenti (ve ne era traccia nell’abrogato decreto ministeriale 471/1999), fatta eccezione per una sola ricorrenza. Nell’allegato 2 alla parte IV del TUA “Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati”, precisamente nel paragrafo “Rappresentazione dello stato di contaminazione del sottosuolo”, si riscontra la frase “matrici suolo, sottosuolo e materiali di riporto”. Considerato che, come detto, è l’unica ricorrenza in tutto l’allegato 2, si è indotti a ritenere che si tratta piuttosto di un refuso o comunque di un’aggiunta non sostanziale dell’estensore originario del testo.
Basta un’isolata ricorrenza a giustificare la necessità di ricorrere ad un provvedimento di urgenza per normare i “materiali di riporto”? Qual è la ratio che ha spinto ad introdurre tale norma, addirittura ritenuta fondamentale per il rilancio della manifattura edilizia nazionale?
La relazione tecnica di corredo al decreto legge giustifica il provvedimento riferendo che “con il primo comma [dell’articolo 3] si introduce una norma di interpretazione autentica dell’articolo 185, comma 1, lettere b) e c) e comma 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006, tesa a chiarire che i materiali di riporto c.d. storici sono esclusi dall’applicazione della normativa sui rifiuti […]”. Aggiunge poi la stessa relazione tecnica che “Il materiale di riporto storico è costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e terreno naturale che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi e integrandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando in molte città un nuovo orizzonte stratigrafico.”
Dunque, la relazione tecnica ci chiarisce innanzitutto che, ciò che preme davvero al legislatore nazionale è regolamentare l’utilizzo dei suoli escavati nelle (grandi?) città, che sono notoriamente costituiti, in via spesso preponderante, da riporti antropici. Magari era meglio riferirsi esplicitamente a questo tipo di motivazione piuttosto che al generale processo di infrastrutturazione dell’Italia. Ma la relazione tecnica fa riferimento espresso a riporti “storici”. Cosa significa, esattamente, storico? Trenta, cento, cinquecento o mille anni? A chi tutela il nostro patrimonio archeologico l’ardua sentenza.
A noi preme piuttosto sottolineare che, ai fini ambientali, non cambierà assolutamente nulla, in quanto sarà comunque necessario rispettare i criteri di qualità ambientale e le procedure stabilite dall’articolo 186 (pur con tutte le incertezze correlate e ad oggi non ancora chiarite) per poter gestire correttamente le TRS, che comprendano o meno suolo, sottosuolo, “materiali di riporto” o finanche frammenti di asteroidi. Almeno fino a quando non sarà emanato il nuovo regolamento ai sensi dell’articolo 184-bis del TUA, come disposto dall’articolo 39 del decreto legislativo 205/2010, da leggere, dopo l’integrazione apportata dal decreto legge 2/2012, come segue:
“1. Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2, è abrogato l’articolo 186.
2. Con il medesimo decreto sono stabilite le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.”
In realtà, l’articolo 185, comma 4, non è stato modificato e quindi non è presente il termine “materiali di riporto”. Vero è che la nuova interpretazione autentica ricomprende nella parola “suolo” anche tali materiali, ma allora il comma 2 è perfettamente inutile e bastava il preesistente comma 1.
A proposito del nuovo decreto ministeriale, è in quella sede che si vedranno cambiamenti sostanziali sul riutilizzo delle TRS (per lo meno a giudicare dalla bozza trasmessa agli organi di controllo), specie in tema di procedure. Ed è proprio sotto quest’ottica che il decreto legge 2/2012 assume una veste molto più significativa, poichè appare prodromico ai pesanti cambiamenti che si intendono apportare con il nuovo decreto ministeriale. Quella bozza di decreto, lo diciamo subito, non convince per niente, a partire dalle definizioni, dove si passa da “terre e rocce da scavo” a generici “materiali di scavo” e dove è presente il concetto di materiali di riporto di origine antropica, alla definizione dei quali è dedicato addirittura un allegato.
Su questo decreto e sulle sue ricadute pratiche torneremo in futuro, specie quando avremo maggiori certezze sulla sua versione definitiva. Qui basti riflettere sul fatto che la bozza in questione prevede la possibilità di riutilizzo non solo dei riporti, ma anche dei materiali da scavo contenenti miscele cementizie, PVC, vetroresina e altre amenità definibili senza dubbio rifiuti piuttosto che TRS, spacciando inoltre per normale pratica industriale finalizzata al riutilizzo anche tecniche e metodologie tipiche della selezione dei rifiuti.
Il testo finale del regolamento non dovrebbe tardare ad uscire, posto che almeno la base legale per la sua adozione è stata normata dall’articolo 49 del decreto legge 1/2012, così come vuole l’articolo 17, comma 3, della legge 400/1988 in tema di regolamenti. L’articolo 49, rubricato come “Utilizzo delle terre e rocce da scavo” (ritorna, quindi, la “vecchia” terminologia) stabilisce infatti che “L’utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti […]”.
In definitiva, in una giungla normativa ambientale sempre più fitta e intrecciata e di complessa lettura per i professionisti del settore, ciò che traspare nemmeno troppo velatamente è un intento generale e diffuso di “de-ambientalizzare”, magari a beneficio di pochi, il settore delle terre e rocce da scavo, anche a costo di artifici tecnici e forzature normative, magari presentando il tutto come un indispensabile percorso di semplificazione, innovazione e crescita economica per il Paese.
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