Nel caso specifico, in realtà, il responsabile si era astenuto per l’istruttoria (svolta da un professionista esterno all’uopo incaricato) che era scaturita dalla segnalazione del vicino ma non anche nel momento dell’adozione dell’ordinanza di demolizione: e proprio quest’ultimo comportamento è stato stigmatizzato dai giudici reggini, secondo cui sarebbe stata necessaria l’astensione anche per tale ultimo provvedimento.
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Questo in applicazione della disposizione di cui all’art. 6-bis della Legge n. 241/90, espressione dei principi costituzionali di imparzialità dell’agere pubblico di cui all’art. 97 della Costituzione, secondo cui “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.
La disposizione in parola vale a preservare anzitutto la credibilità e la fiducia dell’Amministrazione, scattando, perciò, a fronte di situazioni di mero pericolo e verificandosi in tutti i casi in cui sussistano condizioni che, avuto riguardo al particolare oggetto della decisione da assumere, appaiano anche potenzialmente idonee a vulnerare l’assoluta imparzialità e la serenità di giudizio dei titolari dell’ente stesso. Il Legislatore ha, per tale via, coniato un canone di generale applicazione che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento.
Del resto, il conflitto d’interessi rilevante ai sensi dell’art. 6-bis della Legge n. 241/1990 coincide, innanzitutto, con le ipotesi d’incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c.[1], tra le quali figura proprio il rapporto di parentela[2].
La regola generale del dovere di astensione dei dipendenti dell’amministrazione che si occupano, a vario titolo, del procedimento amministrativo, costituisce, come accennato, declinazione nel procedimento amministrativo quale attuazione del canone di imparzialità e buona amministrazione ex art. 97 Cost., il quale impone che “le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico”[3].
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Prevenzione del conflitto di interessi
In materia di conflitto di interessi, il legislatore è intervenuto a più riprese con una serie integrata di misure volte a prevenire tale situazione in cui è frustrata l’esigenza di imparzialità, in atto o anche solo in potenza, anche con riguardo nella percezione di chi intrattiene rapporti con la pubblica amministrazione e, in particolare:
- con l’art. 1, comma 41, della Legge n. 190/2012, novellando la Legge 7 agosto 1990, n. 241, introducendo nella stessa il citato art. 6-bis (conflitto di interessi);
- al comma 54 dello stesso art. 1 della Legge n. 190/2012 ha previsto che “il Governo stabilisce un codice di comportamento dei dipendenti delle P.A. al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo della cura dell’interesse pubblico”;
- con il d.P.R. n. 62 del 2013 ha introdotto il “regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’art. 54 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165“, che all’art. 7 disciplina l’obbligo di astensione.
La prevenzione del conflitto di interessi è, dunque, volta non soltanto a garantire l’imparzialità della singola decisione pubblica, ma, più in generale, a tutelare il profilo dell’immagine di imparzialità dell’Amministrazione[4]. Un’immagine che, nel caso in esame, secondo i giudici, “sembra viepiù offuscata in ragione della mancata indicazione, nel corpo del provvedimento impugnato, delle ragioni per le quali il Dirigente “incompatibile” ha ordinato la demolizione anche di quel fabbricato (di cui alla lettera b della relazione istruttoria) che, ad avviso del professionista esterno all’uopo incaricato, sarebbe stato realizzato in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 765/67 e, quindi, come tale non avrebbe, verosimilmente, abbisognato di alcuna preventiva autorizzazione edilizia”.
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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[1] Il giudice ha l’obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inamicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.
[2] TAR Lazio, Roma, sez. I, sent. 2 marzo 2022, n. 2433.
[3] Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sent. 18 maggio 2022, n. 590.
[4] TAR Veneto, sez. II, sent. 9 luglio 2021, n. 908; sent. 21 gennaio 2019, n. 63.
Immagine. iStock/FangXiaNuo
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