È vero però che il placet dell’assemblea riduce di molto o arriva ad eliminare ogni rischio di contenzioso con la restante parte della collettività condominiale. Del resto, l’art. 1122 c.c. fa divieto al singolo condomino di eseguire nell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico.
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Il vigente art. 1122, comma 2, c.c., dispone che il condomino ne dia preventiva notizia all’amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l’integrità delle cose comuni.
In ogni caso all’eventuale autorizzazione ad apportare tali modifiche concessa o negata dall’assemblea, in difetto di apposito vincolo contrattuale a premunirsene, deve quindi attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554).
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OK assemblea e sopraelevazione abusiva non autorizzata: un caso recente
Una condomina aveva chiesto ed ottenuto dall’assemblea condominiale una delibera di autorizzazione all’installazione di una pensilina a parziale copertura del proprio terrazzo a livello; la medesima condomina aveva provveduto poi al frazionamento dell’appartamento, ricavandone due unità immobiliari, una delle quali era stata ceduta alla figlia. Le due condomine in seguito avevano tamponato la pensilina in questione realizzando una veranda, con struttura in vetro e muratura, e con copertura non più in lamiera grecata (che era stata autorizzata dall’assemblea condominiale) ma in polistrato, in tal modo aumentando il volume abitabile.
Alla luce di quanto sopra il condominio citava madre e figlia davanti al Tribunale chiedendone la condanna alla rimozione della veranda realizzata nella loro abitazione in violazione degli artt. 1127 e 1120, comma 2 c.c., nonché del regolamento condominiale. Quest’ultimo prevedeva una clausola che vietava di modificare in qualunque modo l’architettura dell’edificio o di effettuare opere aggiuntive: tale pattuizione, quindi, integrava di per sé un divieto di modificare l’originario assetto architettonico dell’edificio.
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In ogni caso i condomini pretendevano anche un indennizzo per la sopraelevazione realizzata. Il Tribunale dava torto al condominio. Secondo lo stesso giudice, il manufatto in questione non pregiudicava l’aspetto esteriore dell’edificio condominiale, inserendosi i materiali utilizzati perfettamente nell’architettura dell’edificio. Anche la Corte di Appello dava ragione alle due donne. I giudici di secondo grado ritenevano che il manufatto oggetto di causa, sebbene fosse stato realizzato dalle condomine in difformità di quello assentito dall’assemblea condominiale, non alterasse in alcun modo l’aspetto architettonico ed il decoro dell’edificio, come emergeva chiaramente dall’accertamento tecnico e dalle foto allegate.
In particolare la Corte evidenziava che il manufatto era visibile solo dalla parte posteriore rispetto al prospetto del condominio e che sarebbe stato altrettanto visibile e con analogo ingombro qualora fosse stato realizzato con una diversa copertura o non fosse stata chiusa a vetri. In ogni caso la stessa Corte aggiungeva che la verifica di tipo statico dei carichi ammissibili sul solaio rientrava nei parametri di ammissibilità.
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La decisione della Cassazione
La Cassazione ha chiarito che la realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio deve essere considerata una sopraelevazione disciplinata alla stregua dell’art. 1127 c.c.
Nel caso in questione però la sopraelevazione è da considerare illecita per violazione del regolamento. Infatti i giudici di primo e secondo grado hanno ignorato l’esistenza di una clausola di natura contrattuale dello stesso regolamento che imponeva la conservazione dell’originaria “facies” architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice.
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L’accertamento della Corte di Appello non è risultato quindi completo, avendo ignorato un profilo di fatto rilevante ai fini della decisione da prendere, puntualmente sottolineato dal condomino, considerata peraltro la diversità sostanziale dell’opera realizzata (vano chiuso) rispetto a quella autorizzata con la delibera assembleare costituita da una pensilina amovibile del tutto aperta (Cass. civ., sez. II, 11/05/2023, n. 12795).
Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista
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L’impugnazione della deliberazione condominiale
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Immagine: iStock/kokouu
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