Riforma Urbanistica, tutto quello che NON si può NON fare

Una revisione radicale e profonda dell’apparato normativo che regola il territorio e l’ambiente, apparato oggi ingessato e vecchio, è fondamentale per rinnovare un settore vitale. I consigli direttivi di Audis (Associazione aree urbane dismesse) e Assoimmobiliare si sono riuniti e hanno predisposto un documento comune contenente alcune linee fondamentali per la riforma urbanistica, linee che saranno presentate al nuovo ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio. Tutte le richieste non possono prescindere da quella principale: l’uniformità della legislazione tutto il territorio nazionale, che richiede un processo di semplificazione. Poi, la legge urbanistica nazionale deve fornire indicazioni precise per ridurre il consumo di suolo, è avviare un processo di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente.

Ma andiamo al cuore della questione. I punti principali sono 3:

1) Uniformità di linguaggio e di strumenti sull’intero territorio nazionale
L’esercizio della podestà legislativa concorrente in materia di uso del territorio si è tradotta nella creazione di definizioni normative, termini e procedure che differiscono da regione a regione. Tale disomogeneità è un limite ad operare su scala nazionale. La legge nazionale urbanistica dovrebbe introdurre definizioni e procedure che valgano indistintamente per tutto il territorio nazionale, lasciando così agli enti locali solo il potere di compiere le scelte veramente discrezionali.

Maggiore uniformità vuol dire anche ridistribuzione più equilibrata delle risorse finanziarie e recupero del territorio anche nelle zone oggi più disagiate.

2) Consumo di suolo e rigenerazione del territorio
Se la legge urbanistica nazionale non fornisce indicazioni, criteri e limiti precisi ed efficaci per ridurre drasticamente il consumo di suolo, è impossibile avviare un processo di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente.
Occorre, dunque, abbandonare la linea di una legge nazionale che troverà attuazione solo attraverso successivi decreti attuativi ovvero attraverso scelte che variano ancora da regione a regione, per una norma immediatamente efficace che definisca il risparmio di suolo come principio generale-cardine della gestione del territorio.

Un’efficace politica di riduzione del consumo di suolo comporterà automaticamente un incremento del valore del patrimonio edilizio esistente con conseguente maggior attrazione di investimenti sui progetti di recupero, riqualificazione e rigenerazione. Sarà necessario individuare processi che consentano un equilibrato confronto pubblico-privato e strumenti che introducano possibili incentivi volti a rendere economicamente sostenibili i progetti.

Cosa deve fare quindi la nuova legge urbanistica? Deve:
– fissare principi chiari in materia di partecipazione della collettività al processo di formazione delle scelte volte alla rigenerazione urbana;
– incentivare il ruolo degli operatori privati nell’attuazione di tali rilevanti trasformazioni;
– uniformare nei limiti consentiti dalla Carta Costituzionale l’attuale sistema di premialità (incentivi per interventi di risparmio energetico e per la qualità ed innovazione progettuale; riduzione degli oneri; incrementi di edificabilità).

In effetti, non si parlava più di Riforma Urbanistica da tempo, l’ultimo aggiornamento l’avevamo avuto a settembre, attraverso Lupi, in tempi non sospetti: Riforma urbanistica in Cdm entro fine settembre? Lupi ci crede.

3) Semplificazione e coordinamento
Con la scelta di eliminare le province, viene naturale ipotizzare solo due livelli di pianificazione: regionale e comunale.

Il primo livello volto a programmare scelte strategiche di interesse sovracomunale, il secondo, invece, a definire in modo specifico l’uso del territorio di ciascun comune.
Nell’ottica di semplificazione e di ammodernamento del sistema, gli strumenti di pianificazione non dovrebbero più individuare ciò che è consentito fare, ma specificare solo i divieti e le effettive limitazioni che possono essere opposte all’iniziativa economica dei privati, sulla base di obiettivi strategici generali (principio di indifferenza delle funzioni insediabili). L’aggregazione di Comuni e il ruolo delle Città Metropolitane debbono essere presi in considerazione dalla norma sopratutto perché una maggiore dimensione (sia territoriale, sia demografica) consente un’economia di scala nella erogazione dei servizi e nella realizzazione delle infrastrutture.

Le procedure urbanistiche dovrebbero già contenere anche le norme di coordinamento con le procedure ambientali (in particolare VAS e VIA, tutela paesaggio, bonifiche), affinché il completamento dell’iter urbanistico consolidi effettivamente la possibilità di realizzare il progetto.

Non senza trascurare l’effetto semplificativo ed acceleratorio che potrebbe conseguire all’introduzione della Conferenza di servizi “locale e permanente” per la approvazione dei progetti di trasformazione urbana che presentano un particolare grado di complessità.

In particolare, il tema delle bonifiche assume sostanziale rilevanza per il recupero di aree dismesse o degradate.

Devono essere riviste le competenze tra i vari enti locali, introducendo nelle procedure urbanistiche un dialogo tra Stato e realtà locali attraverso le Prefetture e introducendo effettivi poteri sostitutivi attraverso la nomina di commissari ad acta, non solo per opera del giudice amministrativo, ma anche su impulso del Prefetto.

All’origine del problema c’erano i punti del Governo che puoi legge re qui: Riforma urbanistica ai nastri di partenza: ecco i punti salienti

Giacomo Sacchetti

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