Gli atti catastali possono fornire legittimità edilizia solo in due specifici casi:
- se si tratta di immobili edificati in epoche in cui la legge o i regolamenti locali non obbligavano a dotarsi di un titolo per edificare e
- se per quegli immobili, pur esistendo prove dell’esistenza di un titolo edilizio, di questo non è più reperibile una copia.
In tutti gli altri casi, la sola planimetria catastale o atti equivalenti non possono considerarsi documenti utili ai fini della valutazione della legittimità edilizia ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis d.P.R. 380/2001.
Molti, erroneamente, ritengono che la documentazione catastale possa essere utile ai fini della valutazione della conformità edilizia, ma in realtà non è così o, meglio, è così in casi rari e circoscritti.
L’analisi che segue è tratta dal volume Manuale del progettista per gli interventi sull’esistente e per la redazione di due diligence immobiliari di Marco Campagna, edito da Maggioli Editore.
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A cosa serve la planimetria catastale?
La documentazione catastale in verità non ha nessuna attinenza con gli atti di urbanistica, essendo sostanzialmente funzionale al solo scopo di consentire il censimento degli immobili a fini prettamente fiscali. Tuttavia, la convinzione circa l’esistenza di una relazione tra catasto ed edilizia si è accresciuta da quando è stato introdotto a livello legislativo l’obbligo di esatta corrispondenza tra rappresentazione catastale e realtà, ai fini della validità del rogito notarile di trasferimento. Anche qui, tuttavia, ancora non si parla di questioni urbanistiche, ma soltanto di legittimità dei rogiti, che sono contratti che poco hanno a che vedere, se non passivamente, con la conformità edilizia.
In un mondo ideale dovrebbe sempre esserci corrispondenza tra progetto edilizio e catasto, in quanto sono due operazioni strettamente connesse, soprattutto nell’ambito della procedura di agibilità, in cui l’accatastamento va espressamente allegato all’istanza; tuttavia, nella redazione della variazione catastale (escludendo la procedura di agibilità) non vi è una procedura espressa di verifica di corrispondenza con l’urbanistica, se non indirettamente (e sotto certi aspetti facoltativamente) nella breve relazione che deve essere sviluppata assieme alla variazione catastale.
Inoltre, la planimetria catastale non contiene le informazioni tecniche che sarebbero necessarie affinché costituisca un documento utile a livello urbanistico, in quanto non contiene riferimenti agli atti urbanistici, non vi sono relazioni con le norme edilizie e non vi è richiesta di indicazione di quei parametri che sono invece importanti per le norme urbanistiche e tecniche.
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È in sostanza un documento che, appunto, serve ai soli fini fiscali e la cui planimetria è necessaria per far sì che l’ufficio possa facilmente verificare che il classamento proposto dal tecnico sia coerente con le reali consistenze dell’unità immobiliare e, inoltre, per verificare che ci si riferisca esattamente a quell’immobile e non ad un altro: sotto certi aspetti, la planimetria catastale potrebbe essere considerata un accessorio perché ai meri fini fiscali non sarebbe nemmeno indispensabile, potendo ritenersi sufficiente la consistenza generale dell’immobile dichiarata dal tecnico compilatore, come peraltro si faceva prima del 1939 quando il catasto, nelle sue tante versioni precedenti a quella attuale, graficamente rappresentava solo la mappa terreni ed esclusivamente nel brogliardo era annotato il numero dei piani o il numero degli immobili in cui era suddiviso il fabbricato.
Certamente gli atti catastali sono dei documenti che possono essere utili per ricostruire la storia edilizia di un immobile: pensiamo, ad esempio, ad un fabbricato di cui urbanisticamente non si conosce l’epoca di realizzazione ma che risulta accatastato, pertanto è possibile almeno stabilire che in una determinata data questo esisteva.
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Quando e quali istanze catastali hanno un potere urbanistico?
Le uniche procedure che possono dare alle risultanze del catasto un indiretto potere urbanistico sono poche e circoscritte, ovvero:
- nelle procedure di condono, in quanto le concessioni in sanatoria, in alcuni comuni, vengono collegate alle planimetrie catastali e quindi queste in qualche modo diventano documenti urbanistici in quanto facenti le veci del progetto edilizio (pur come detto non contenendo elementi invero essenziali per la valutazione tecnica, come ad esempio sezioni e prospetti di un edificio);
- nei casi di edilizia realizzata legittimamente in assenza di licenza edilizia prima del 1967 in quei territori non compresi nei centri abitati o, ancora più indietro nel tempo, in quei territori in cui ancora non vigevano dei regolamenti edilizi che imponevano l’obbligo di licenza. In sostanza, se un immobile è stato legittimamente edificato senza titolo edilizio, l’accertamento delle originarie consistenze può passare attraverso la valutazione anche della documentazione catastale.
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La possibilità di utilizzare le risultanze catastali per legittimare lo stato di conformità di un immobile è stata di recente sancita dal nuovo comma 1-bis dell’art. 9-bis (2) del Testo Unico, introdotto dal d.l. 16 luglio 2020 n. 76 convertito con l. 11 settembre 2020 n. 120, che non ha fatto altro che consolidare la prassi già in vigore, ovvero quella di usare le risultanze tecniche (non necessariamente catastali) come dimostrazione di legittimità solo in due specifici contesti ben circostanziati dalla norma i quali sono:
- immobile edificato in un periodo in cui non vi era obbligo di dotarsi di licenza;
- immobile edificato in forza di un titolo di cui esistono i riferimenti documentali, ma del quale non è più reperibile una copia.
Dunque ormai è sancito anche nella legge che le risultanze catastali hanno valore probante solo in determinati, specifici contesti e, soprattutto, è chiarito che tale evenienza non può in nessun caso sostituire, in termini di validità, un titolo edilizio esistente e reperibile, che fornisce indicazioni per la legittimità edilizia.
Insomma, certamente la sola presenza di una planimetria catastale associata ad una unità immobiliare, di per sé, non può essere considerata un elemento tecnico utile alla verifica della conformità edilizia, salvo appunto i casi specifici citati sopra.
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Quali sono i riferimenti normativi?
Sul non valore edilizio delle planimetrie catastali si è espressa anche la giustizia amministrativa, ad esempio nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 631/2015 nella quale ci si riferisce alle risultanze catastali come documenti che “non possono ritenersi fonte di prova certa sulla situazione di fatto esistente sul piano immobiliare, rappresentando l’accatastamento un adempimento di tipo fiscale-tributario, che fa stato ad altri fini, senza assurgere a strumento idoneo – al di là di un mero valore indiziario, per evidenziare la reale consistenza degli immobili interessati e la relativa conformità alla disciplina urbanistico-edilizia”.
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La stessa massima è stata ripresa anche dalla più recente sentenza TAR Toscana, sez. III, n. 1149/2019. Le sentenze qui riportate sono comunque antecedenti alla pubblicazione del d.l. 16 luglio 2020 n. 76 che ha introdotto una nuova visione legislativa riguardo alla validità tecnica delle planimetrie catastali, in contesti ben definiti.
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