Eccoci al consueto appuntamento settimanale con la rassegna di sentenze in materia edilizia e urbanistica. I temi trattati sono: gazebo e pergolato per piante rampicanti: basta la SCIA? Piano attuativo di iniziativa privata, è atto dovuto? Riedificazione di un rudere: quali condizioni perché sia ristrutturazione?
Vasca di natura agricola, è attività edilizia libera? Demolizione di opere abusive, serve comunicazione di avvio del procedimento? Vediamo in dettaglio tutti gli argomenti.
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Gazebo e pergolato per piante rampicanti: basta la SCIA?
TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 26 febbraio 2021, n. 504
Il pergolato, che può fungere da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, è assentibile con SCIA
Per ciò che concerne le opere esterne, quali i pergolati, la giurisprudenza ritiene che siano assentibili con SCIA e con CILA, sulla base della ricostruzione per cui, in linea di principio, il pergolato in ferro sia una struttura pertinenziale, meramente ornamentale, che, per la sua configurazione strutturale e funzionale, non incide sul carico urbanistico, non comportando aumento volumetrico o di superfici utili (TAR Salerno, Sez. II, 11.06.2019, n. 976; Cons. Stato, Sez. VI, 08.05.2018, n. 2743; TAR Napoli, Sez. II, 07.09.2018, n. 5424).
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Il pergolato, che può fungere da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, è assentibile con SCIA (TAR Salerno, Sez. II, 08.07.2020, n. 851 e, per definizione, va distinto da altre opere variamente rilevanti sotto il profilo urbanistico:
1) il gazebo, quale una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi;
2) la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro con la conseguenza che essa, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire (TAR Pescara, Sez. I, 04.10.2019, n. 233).
Piano attuativo di iniziativa privata, è atto dovuto?
TAR Toscana, sez. I, sent. 22 febbraio 2021 n. 284
L’approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata non è un atto dovuto ma discrezionale
L’approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata non è un atto dovuto, ancorché il medesimo risulti conforme al piano regolatore generale, perché, sussistendo un rapporto di necessaria compatibilità ma non di formale coincidenza tra quest’ultimo e i suoi strumenti attuativi ed essendovi una pluralità di modi con i quali dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, la relativa istanza è soggetta a potere discrezionale che ben può giustificarne il diniego (ex pluriubus cfr. Tar Sicilia, Palermo, Sez. II, 8 luglio 2015, n. 1667; Tar Puglia, Bari, Sez. III, 12 marzo 2015, n. 403; Tar Emilia Romagna, Parma, Sez.I, 11 febbraio 2014, n. 41; Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 29 maggio 2013, n. 1563; Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1479; id. 19 settembre 2012, n. 4977; Tar Umbria, Sez. I, 27 maggio 2010, n. 335; Tar Piemonte, Sez. I, 9 aprile 2010, n. 1752; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 6 giugno 2008, n. 624; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248).
Ne discende che non è possibile pervenire a un accertamento in ordine alla certezza o alla elevata probabilità di conseguire il risultato positivo poiché l’approvazione del piano costituisce solo uno dei possibili esiti del procedimento configurandosi, perciò, la posizione dei proponenti rispetto ad esso come mera aspettativa insuscettibile di tutela risarcitoria (Cons. Stato, IV, n. 1615/2018).
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Riedificazione di un rudere: quali condizioni perché sia ristrutturazione?
TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sent. 23 febbraio 2021 n. 138
La riedificazione di un rudere è qualificabile come ristrutturazione se è possibile ricostruirne la consistenza originaria con un’indagine tecnica
Come ha chiarito la giurisprudenza (T.A.R. Liguria, sez. I – 28/9/2020 n. 642), “mentre in precedenza la riedificazione di un rudere era qualificata come nuova costruzione, la novella legislativa del 2013 ha allargato il concetto di ristrutturazione all’ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un’indagine tecnica (in tal senso cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 3 ottobre 2019, n. 6654; T.A.R. Liguria, sez. I, 11 giugno 2020, n. 364; T.A.R. Toscana, sez. III, 26 maggio 2020, n. 631)”: la pronuncia ha puntualizzato che “l’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto (in tal senso cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 23 dicembre 2019, n. 6098)”.
Nello stesso senso si è espresso T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I – 6/7/2020 n. 517, per cui “La L. n. 98 del 2013 ha superato la previgente nozione di ristrutturazione, che non ricomprendeva gli interventi finalizzati a ricostruire edifici allo stato di rudere, sul presupposto che la demolizione e successiva ricostruzione richiedesse necessariamente la sussistenza di un immobile da ristrutturare…. È necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e verificabili (Cass. pen. Sez. III, 25-06-2015, n. 26713; Cass. pen. Sez. III, 30 settembre 2014, n. 40342)”.
Il concetto di ristrutturazione non può ontologicamente prescindere quantomeno dall’apprezzabile traccia di una costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo fondamentale che caratterizza la “ristrutturazione” rispetto alla “nuova edificazione” e che è rappresentato, a norma della definizione generale dettata dall’art. 3 DPR n. 380/2001, dalla “trasformazione” di organismi edilizi, la quale presuppone che l’intervento si riferisca a una porzione di territorio a sua volta già compiutamente trasformata (Consiglio di Stato, sez. IV – 4/2/2020 n. 907, richiamato da T.A.R. Toscana, sez. III – 28/12/2020 n. 1737).
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Come evidenziato dalla giurisprudenza, “Connaturata alla ristrutturazione edilizia è la ragion d’essere del recupero e della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, strumentale alla sempre più avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo” e “Se così è, il testo novellato dell’art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere letto nel senso che il “ripristino” di edifici, per integrare ristrutturazione, richieda l’esistenza almeno di un rudere o comunque di resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro incapacità di rivelare la consistenza originaria dell’immobile, cui sia necessario pervenire attraverso un’indagine storico-tecnica” (T.A.R. Toscana, sez. III, 26 maggio 2020, n. 631.
Conseguentemente, la riedificazione di un rudere rientra nella nozione di ristrutturazione nel caso in cui:
– vi siano rilievi fotografici del rudere, nei quali risulta visibile il porticato sull’estremità est quale prolungamento dell’edificio, a sua volta rappresentato nelle altre fotografie;
– il confronto tra una cartografia storica ed una foto più recente, dal quale si evince una differente lunghezza tra le 2 sagome a favore della prima;
– l’elemento di prova delle colonne portanti che ne delimitano l’area di sedime.
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Vasca di natura agricola, è attività edilizia libera?
TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 26 febbraio 2021, n. 528
Una vasca realizzata per funzioni estetiche di coltivazione di ninfee da parte di un imprenditore agricolo, attraverso la modifica e modellazione di un canale irriguo esistente, non è opera qualificabile come attività edilizia libera perché, in ragione delle finalità estetiche, non si ravvisa la stretta pertinenzialità con l’esercizio dell’attività agricola
Una vasca realizzata per funzioni estetiche di coltivazione di ninfee da parte di un imprenditore agricolo, attraverso la modifica e modellazione di un canale irriguo esistente, non è opera qualificabile come attività edilizia libera, per la quale l’art. 6 d.P.R. n. 380/2001 richiede che i movimenti di terra effettuati siano “strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola”. Nel caso di specie, in ragione delle finalità estetiche dell’intervento, non si ravvisa la stretta pertinenzialità con l’esercizio dell’attività.
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Demolizione di opere abusive, serve comunicazione di avvio del procedimento?
TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 23 febbraio 2021 n. 318
Non vi è alcun obbligo in capo alla P.A. di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione dell’ingiunzione di demolizione delle opere abusive
Non vi è alcun obbligo in capo alla P.A. di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione dell’ingiunzione di demolizione delle opere abusive: infatti, per giurisprudenza ormai costante e condivisibile, “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 10 agosto 2011, n. 4764), trattandosi “di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo (cfr. sez. V, 7/07/2014, n. 3438)>> (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Terza, 14 maggio 2015, n. 2411; in termini, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Terza, 11 ottobre 2018, n. 1470; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Terza, 27 giugno 2018, n. 1075).
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Come affermato dalla giurisprudenza, “a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21-octies, secondo comma, della Legge n. 241 del 1990” (“che ha recepito, sul punto le indicazioni della giurisprudenza” – Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 20 luglio 2011, n. 4403), “a fronte di attività interamente vincolata, quale quella di repressione degli abusi edilizi, i vizi di carattere “formale” – tra cui rientra pacificamente anche la violazione dell’art. 7, L. 241 – difettano ormai di capacità invalidante, al cospetto dell’invarianza dell’esito provvedimentale e del principio di “strumentalità delle forme” (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 22 settembre 2014, n. 4740)” (T.A.R. Umbria, Perugia, Sezione Prima, 26 gennaio 2016, n. 52; in termini, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Terza, cit., 27 giugno 2018, n. 1075)” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Terza, 19 novembre 2018, n. 1710).
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