Del resto, si deve ricordare che gli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. consentono lo scioglimento del condominio qualora un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, sempre che restino in comune con gli originari partecipanti alcune fra le cose indicate dell’art. 1117 c.c., come si desume dall’art. 1117-bis c.c., introdotto dalla legge 220/2012.
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Tenendo conto di quanto sopra si può affermare che l’aspetto della condominialità può ugualmente sussistere anche nel caso di un insieme di edifici indipendenti fra di loro, vale a dire privi di un nesso strutturale così stretto, materiale e funzionale.
Si deve tenere conto che l’elemento indispensabile per poter configurare l’esistenza di una situazione di tipo condominiale è rappresentato dalla contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni dell’edificio, in rapporto alla loro specifica funzione di servire per l’utilizzazione e il godimento delle parti dell’edificio medesimo.
Non si può però affermare che tutti gli edifici o aree adiacenti ad un caseggiato siano beni condominiali.
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Edifici adiacenti non condominiali
La Cassazione ha chiarito che, con riferimento al caso di edifici adiacenti, per stabilire la condominialità di un fabbricato adiacente ad un altro stabile, deve essere accertata l’esistenza dei presupposti per l’operatività della presunzione di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., con riferimento al momento della nascita del condominio e che, invece, non è determinante il collegamento materiale tra i due immobili eseguito successivamente alla sua costituzione.
Alla luce di quanto sopra la Cassazione ha censurato la decisione di merito secondo cui le fondazioni, i muri maestri ed il tetto dell’edificio condominiale erano divenuti comuni ai proprietari delle unità immobiliari comprese nell’edificio limitrofo, per il solo fatto che alcuni condomini del primo edificio, sopraelevando il tetto e aprendo un varco nel muro perimetrale, avevano debordato, con le loro costruzioni, dall’area di loro spettanza ed invaso l’area di proprietà dell’edificio vicino. La Suprema Corte ha rilevato che, infatti, i costruttori in tal modo non avevano conseguito l’attribuzione della proprietà dello spazio occupato e che al momento della esecuzione di tali opere non operava la presunzione di condominialità prevista dall’art. 1117 c.c., in quanto il suolo e gli edifici all’epoca della costruzione ormai appartenevano a proprietari diversi e, quindi, dovevano invece trovare applicazione – in mancanza di una apposita convenzione scritta o dell’avvenuto acquisto per usucapione – le norme relative all’accessione e alla forma richiesta per la validità del trasferimento dei diritti reali immobiliari (Cass. civ., sez. VI, 25/06/2019, n. 17022).
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Aree esterne al caseggiato
La presunzione di comunanza del suolo dove insiste l’edificio non si estende automaticamente all’area separata. Il principio è stato recentemente affermata dalla Cassazione nella sentenza n. 7917 del 20 marzo 2023. Nel caso di specie un condomino, al fine di entrare nuovamente nel possesso del cortile adibito ad uso parcheggio, citava in giudizio un terzo che aveva apposto un lucchetto alla sbarra di accesso al detto parcheggio, impedendo ai condomini di entrare.
Il ricorso dei condomini veniva accolto con ordinanza di reintegrazione nel possesso del cortile in favore del condominio. Successivamente, però, il terzo faceva causa al condominio per ottenere la declaratoria di inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest’ultimo in relazione agli appezzamenti di terreno prospicienti l’edificio condominiale e ciò in forza dell’atto di acquisto del 29 gennaio 2004, che ne comprovava la sua titolarità, con conseguente condanna al rilascio degli stessi in suo favore.
Il condominio costituitosi svolgeva riconvenzionale per l’accertamento della natura condominiale del terreno o, in subordine, dell’usucapione di detta area. Il Tribunale accertava che la proprietà dell’area spettava ai condomini. Allo stesso modo la Corte di Appello dava ragione alla collettività condominiale. Anche secondo i giudici di secondo grado l’area controversa era da considerare comune, atteso che il regolamento di condominio (registrato l’11 giugno 1976 e trascritto il 23 giugno successivo), all’art. 3, elencava, tra le parti comuni, i c.d. “distacchi”. Del resto, ad avviso della Corte di Appello, tale regolamento era stato trascritto molto prima dell’atto di acquisto del terzo e, quindi, non era discutibile che fosse opponibile ai terzi acquirenti in epoca successiva.
La Cassazione, però, non ha ritenuto condivisibili le conclusioni dei giudici di secondo grado. Come notano i giudici supremi il regolamento, per quanto trascritto, non rileva nei confronti dei terzi acquirenti di aree separate dal condominio perché si riferisce all’edificio condominiale e non ad aree separate; di conseguenza l’estensione della proprietà condominiale ad edifici o fondi separati ed autonomi rispetto al complesso immobiliare in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo immobile (fabbricato o terreno) nella proprietà del condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il condominio risulta costituito.
Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista
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Immagine: iStock/Nirian
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