Il sistema normativo italiano relativo alle attività previste dall’articolo 52 del R.D. 2537 del 1925, di parziale riserva in favore degli architetti, non comporta una discriminazione degli ingegneri civili italiani rispetto ai colleghi stranieri per quanto riguarda gli interventi sugli edifici storici.
Secondo il citato articolo 52, non tutti gli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico devono essere affidati alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico”.
Resta invece nella competenza dell’ingegnere civile la parte tecnica, ossia “le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria”.
Il principio di non-discriminazione l’ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 21/2014 del 9 gennaio che ha respinto il ricorso di primo grado proposto da un ingegnere e dall’Ordine degli ingegneri di Verona e provincia, e ha respinto anche il ricorso in appello presentato dagli Ordini degli ingegneri delle province di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno.
Non è esatto affermare che l’ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi UE diversi dall’Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto, fra cui le attività per le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, o relative a immobili di interesse storico e artistico. L’esercizio di tali attività sarà consentito ai soli professionisti i quali possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche della professione di architetto. L’articolo 3 della direttiva 85/384/CEE include in modo espresso gli studi della storia e delle teorie dell’architettura, nonché delle belle arti e delle scienze umane.
Anche se un professionista non italiano con il titolo professionale di ingegnere può svolgere, sulla base della normativa del Paese di origine o di provenienza, attività rientranti fra quelle esercitate abitualmente col titolo professionale di architetto, questo non basta a determinare una discriminazione alla rovescia a danno dell’ingegnere civile italiano: l’esercizio di questa attività non è possibile sulla base del possesso del titolo di ingegnere nel Paese di origine o provenienza, ma perché il professionista non italiano avrà seguito un percorso formativo adeguato per l’esercizio delle attività normalmente esercitate con il titolo professionale di architetto.
Coloro che hanno conseguito in Italia il diploma di laurea in ingegneria nel settore della costruzione civile rilasciati da Università o da istituti politecnici possono esercitare le attività tipiche degli architetti – comprese dell’articolo 52 – solo se hanno conseguito il diploma di abilitazione all’esercizio indipendente di una professione nel settore dell’architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione dopo l’esame di Stato abilitante per conseguire il titolo di “dott. Ing. architetto” o di “dott. Ing. in ingegneria civile”).
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