Rieccoci a parlare della proposta shock per il settore dell’edilizia e il rilancio degli investimenti privati, che “farà crescere Pil e occupazione”, secondo le ormai note parole di Fraccaro all’annuncio del Superbonus 110% (noi lo avevamo chiamato bazooka, ma poco cambia!).
Tutto questo fa gola ai contribuenti, che potranno scegliere quale lavoro intraprendere senza anticipare un euro (>> 6 lavori subito scontabili), ma scoraggia le imprese, che si domandano se sia davvero praticabile la misura così com’è nella formulazione attuale.
Il provvedimento è sì in fase di partenza con le migliori intenzioni, ma rischia di essere inattuabile e che si riveli un disastro economico per aziende, produttori e rivenditori del settore, per le ditte che vendono principalmente finestre, porte d’ingresso, schermi oscuranti e schermature solari. Come fare?
Prima di tutto, chiariamo (anche con un banale esempio) come funziona lo sconto in fattura e perché non piace alle imprese.
Superbonus 110%, lo sconto in fattura fa gola (non alle imprese)
Il contribuente avrà, secondo il Dl rilancio, la possibilità di sfruttare l’agevolazione al 110% nei seguenti modi:
– utilizzare direttamente la detrazione;
– usare lo sconto in fattura;
– cedere del credito.
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Ciò che divide maggiormente l’interesse dei privati e quello delle imprese è la seconda modalità, ovvero quella dello sconto in fattura, perché da un lato permetterebbe ai primi di iniziare i lavori a costo zero, dall’altro obbligherebbe le seconde a maturare credito di imposta anziché incassare denaro.
Superbonus 110%, il committente ha sempre ragione?
No. Il fornitore, in caso di richiesta del committente, può scegliere di non aderire alla proposta perdendo l’appalto, ma il committente dovrà trovare un altro esecutore disposto ad accettare lo sconto come modalità di pagamento (>> leggi l’intero articolo: Il fornitore può dire no allo sconto in fattura).
Esempio – Committente VS Impresa
Portiamo un esempio per semplificare ancora di più il concetto. Prendiamo un condominio che decide di fare lavori di isolamento termico per un importo totale di 50 mila euro. Il tetto massimo detraibile è pari a 60 mila euro, dunque la spesa da sostenere è inferiore. Così facendo, il condominio porterebbe in detrazione tutto l’importo dei lavori ottenendo però un surplus di percentuale. L’ammontare finale sarebbe infatti di 55 mila euro, ma la decisione del condominio è di optare per lo sconto in fattura.
L’impresa che ha eseguito i lavori, accetta quindi il credito ed emette una fattura con uno sconto pari all’ammontare della detrazione.
Cosa può fare poi l’impresa?
Ha due alternative:
– usare direttamente il credito di imposta in compensazione;
– cedere ad altri soggetti, compresi istituti di credito e altri intermediari finanziari, il credito d’imposta.
Il risultato è che il condominio è intervenuto a costo zero, ma l’impresa ha acquisito un credito d’imposta di 55 mila euro senza incassare ancora nulla. È per questo che il credito d’imposta scoraggia le imprese, che necessitano invece di liquidità.
>> Lo sai che è previsto anche il Sismabonus 110%? Come funziona e quali lavori lo permettono? Leggi l’articolo
Qual è la soluzione?
Servirebbe una maggior chiarezza sulle procedure per la cessione del credito d’imposta ad altri soggetti, soprattutto nei confronti di una banca. Anche a noi, così come ad altre testate del settore sono infatti arrivate domande del tipo:
Le imprese che applicano lo sconto in fattura e poi cedono alle banche cosa ottengono finanziamenti o pagamenti?
Quale percentuale tratterrà il cessionario?
Le banche sono obbligate all’accettazione di questo credito?
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