La disciplina in materia di distanze minime non si applica alle luci

Mario Petrulli 18/12/23
Come è noto, l’art. 900 c.c. (rubricato Specie di finestre) stabilisce che le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie:

  • luci, quando danno passaggio alla luce e all’aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino;
  • vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.

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Luci e vedute sono, quindi, aperture diverse: secondo la giurisprudenza[1], la veduta, permettendo di affacciarsi e, quindi, di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, possiede quella speciale attitudine visiva – consistente nell’assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale – che esula dalla semplice luce e da essa la discrimina.

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Per la sussistenza della veduta, quindi, è necessaria la presenza cumulativa dei requisiti:

  • della inspectio, intesa come possibilità di vedere o guardare frontalmente il fondo del vicino,
  • e della prospectio, intesa come affaccio mediante la sporgenza del capo dall’apertura che consente di guardare anche obliquamente e lateralmente il fondo del vicino.

Peraltro, sempre la giurisprudenza[2], in tema di aperture sul fondo del vicino esclude l’esistenza di un “tertium genus” diverso dalle luci e delle vedute; ne consegue che l’apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) non può che essere qualificata giuridicamente come luce. In tema di aperture sul fondo del vicino, non ammettendo la legge l’esistenza di un “tertium genus” oltre alle luci ed alle vedute, va valutata quale luce l’apertura che sia priva del carattere di veduta.

La precedente distinzione fra luci e vedute è importante in materia di rispetto della distanza minima prevista dall’art. 9[3] del D.M. n. 1444/1968 che deve intercorrere tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”; tale disposizione fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, “per tali dovendosi intendere, secondo l’univoco e costante insegnamento della giurisprudenza anche di questa Sezione, unicamente “le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci”[4]; ne consegue la non applicabilità dell’art. 9 predetto in punto di distanza minima in presenza di aperture da qualificare come luci[5] (si pensi, ad esempio, all’apertura chiusa da inferriata[6] o alle sopraluci[7]).

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Un caso concreto si è avuto nella recente sent. 1° dicembre 2023, n. 2841, del TAR Campania, Salerno, sez. III, nella quale i giudici, dovendo valutare un contenzioso fra due proprietari finitimi in materia di rispetto delle distanze minime ex art. 9 del D.M. n. 1444/1968, hanno qualificato come luci (e non quali finestre) sei aperture presenti su una facciata “munite di una inferriata metallica atta a garantire la sicurezza, costituita da elementi orizzontali, posti ad una distanza verticale di circa 10 cm l’uno dall’altro e poste ad un’altezza non minore di due metri dal pavimento, con la conseguenza che non era configurabile alcuna violazione del citato art. 9.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

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[1] Cass. civ., Sez. Un., sent. 28 novembre 1996, n. 10615. Cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 22 aprile 2015, n. 641, secondo cui “Si ha veduta quando è consentita non solo una comoda “inspectio” -senza l’uso di mezzi artificiali- sul fondo del vicino ma anche una comoda, agevole e sicura “prospectio”, cioè la possibilità di affaccio -con sporgenza del capo- per poter guardare di fronte, lateralmente e obliquamente. Affacciarsi, nell’uso corrente recepito dal legislatore nella definizione delle vedute, è il porsi l’osservatore di normale altezza, comodamente, senza pericolo e senza l’ausilio di alcun mezzo artificiale, col petto, protetto dall’opera, a livello superiore a quello massimo dell’opera stessa nel punto di osservazione, in modo da poter sporgere oltre tale livello il capo e vedere, anche obliquamente e lateralmente, l’immobile altrui e, nello stesso tempo, da poter esser visto dall’esterno. Per poter distinguere una veduta prospettica da una finestra lucifera, bisogna accertare, avuto riguardo non all’intenzione del proprietario, ma alle caratteristiche oggettive ed alla destinazione dei luoghi, se essa adempie alla funzione, normale e permanente non esclusiva, di dare aria e luce all’ambiente e di permettere la “inspectio” e la “prospectio” sul contiguo fondo altrui, in modo da determinare un inequivoco e durevole assoggettamento di quel fondo a tale peso. Non può sussistere veduta quando, pur essendo possibile l’affaccio attraverso un’apertura, non possa attuarsi normalmente, e cioè agevolmente e senza pericoli, la sporgenza del capo per guardare di fronte, obliquamente e lateralmente sul fondo del vicino.

[2] Cass. civ., Sez. II, sent. 28 settembre 2007, n. 20577.

[3] Art. 9 – Limiti di distanza tra i fabbricati

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

[4] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 5 ottobre 2015, n. 4628.

Ricordiamo che nel caso di violazione del regime delle distanze fra pareti finestrate il diniego del richiesto permesso di costruire deve considerarsi un atto vincolato e che è sufficiente che una sola della due pareti antistanti sia finestrata per far scattare l’obbligo del rispetto della distanza minima (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 10 maggio 2019, n. 2519).

Inoltre, il balcone è rilevante in merito all’osservanza delle distanze ai sensi dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 (TAR Sardegna, sez. I, sent. 12 giugno 2023, n. 415).

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 5 ottobre 2015, n. 4628, TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 11 aprile 2022, n. 938.

[6] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 26 giugno 2019 n. 1484, secondo cui un’apertura con inferriate non può essere qualificata come finestra ma come luce e, conseguentemente, non opera il regime delle distanze previste dall’art. 9 del DM n. 1444/1968.

[7] TAR Liguria, sez. I, sent. 1° febbraio 2021, n. 76: “La presenza di sopraluce non configura una parete finestrata e, pertanto, non rileva astrattamente ai fini della disciplina sulle distanze delle costruzioni dalle vedute. Come costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, l’obbligo di osservare determinate distanze nelle costruzioni sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, sicché la dizione “pareti finestrate” di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 si riferisce esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette “lucifere” (cfr., fra le ultime, Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4834). Le caratteristiche dei sopraluce rendono oggettivamente impossibile il “prospicere” e l’“inspicere in alienum”, determinando la qualificazione di tali elementi alla stregua di luci o “finestre lucifere”, anziché di vedute che consentono l’affaccio sull’immobile del vicino.

Immagine: iStock/VacharapongW

Mario Petrulli

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