Un regolamento di condominio più restrittivo delle norme del codice civile possiede valore a tutti gli effetti in caso di controversia condominiale. Ed il rumore dovuto al disturbo dei vicini in condominio deve cessare e comporta il risarcimento dei danni per insonorizzazione, e anche per l’ammontare dei canoni e degli oneri accessori che il proprietario della casa affittata avrebbe incassato se il rapporto fosse proseguito per la normale durata e non si fosse interrotto a causa del disturbo. Per comprendere il valore di questo concetto è utile menzionare la vicenda che ha dato origine alla recente pronuncia del Tribunale di Milano (sentenza 3 maggio 2016 n. 5465).
Condominio e rumore: un caso concreto
Nel caso di specie il condomino-locatore rendeva evidente che, nel corso del rapporto di locazione, il conduttore al quale aveva locato l’appartamento lamentava “diversi episodi di intollerabile disturbo della quiete diurna e soprattutto notturna”. Venivano conseguentemente fatte richieste scritte ed orali di cessazione dei rumori, anche mediante i buoni uffici dell’amministratore del condominio, senza peraltro sortire alcun effetto concreto. Per questo motivo il conduttore aveva anticipato al locatore che, in caso di ulteriore prosecuzione delle emissioni sonore, avrebbe esercitato il recesso dal contratto. La proprietà faceva pertanto eseguire opere di insonorizzazione sostenendone interamente i costi. Ma il conduttore aveva esercitato lo stesso il recesso anticipato dal rapporto, motivato col fatto che “la rumorosità dei vicini rende intollerabile la permanenza nell’abitazione”. I vicini si difendevano sostenendo che in casa era presente una persona con problemi di udito e deducendo “l’assoluta mancanza di prove circa l’intollerabilità”, non essendo stato svolto alcun accertamento tecnico.
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Il Regolamento di condominio restrittivo
Il Tribunale di Milano osservava però che il regolamento di condominio faceva “assoluto divieto di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura e, segnatamente, dalle ore 20 alle ore 8”. Tale prescrizione, nel vietare semplici “rumori” che rechino “disturbo”, era molto più restrittiva di quella posta dall’art. 844 del Codice civile, che richiedeva la dimostrazione che le emissioni rumorose superassero la soglia della tollerabilità.
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Le risultanze processuali permettevano, in tale direzione, di ritenere senz’altro integrata la violazione della norma regolamentare. E in ogni caso, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione tramite la sentenza 3000/1997, “non vi è la necessità di ricorrere ad una perizia fonometrica allorché il giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento (…) che vi sia stato il superamento dei limiti di tollerabilità”.
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