Condense, infiltrazioni, deterioramento dei materiali: un esempio pratico per CTU

Analizziamo il tipo di vizio, difetto o difformità oggetto del contenzioso, le posizioni assunte dalle parti, il quesito posto al CTU, le verifiche eseguite in contraddittorio e le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio

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Analizziamo di seguito un caso pratico, oggetto di valutazioni tecniche da parte del CTU chiamato per accertare il tipo di vizio, difetto o difformità ed individuarne le cause. Il presente caso studio è estratto dal volume Il CTU per le Patologie Edilizie di Pierfederico Marinoni e Massimo Montrucchio, edito da Maggioli Editore.

La parte ricorrente, proprietaria del particolare immobile di forma ovoidale (Foto 2), lamenta problematiche di condensa, infiltrazioni, ammaloramenti e deterioramenti dei rivestimenti del soffitto e delle pareti, perciò chiama in giudizio l’impresa, il progettista e direttore dei lavori architettonici, il progettista e direttore dei lavori strutturali, il progettista e direttore dei lavori degli impianti.

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In particolare, la proprietà lamenta criticità tali da non garantire la salubrità e l’igienicità dell’ambiente né la capacità portante della struttura di copertura, a causa del degrado del doppio tavolato (Foto 1); lamenta altresì la presenza di un fenomeno di fessurazione dello strato di poliuretano rigido ed evidenti tracce di umidità con conseguente ossidazione della struttura metallica (Foto di copertina). La proprietà si duole anche del progressivo deterioramento delle condizioni della copertura, con distacchi di porzioni della coibentazione interna ed imminente pericolo di collasso dell’intera struttura portata, ritenendo perciò necessario, con urgenza, il rifacimento totale.

Condense, infiltrazioni, deterioramento dei materiali: un esempio pratico per CTU Foto 1 Il CTU per le patologie edilizie
Foto 1_Ammaloramento dei tavolati lignei ©Il CTU per le Patologie Edilizie – Maggioli Editore

L’impresa sostiene d’aver operato in cantiere secondo le indicazioni progettuali e che la realizzazione delle opere ammalorate sia stata eseguita da un’altra ditta su ordine della proprietà e con l’espressa approvazione del direttore dei lavori che, oltre ad aver avallato la posa di ogni singolo strato compreso l’isolamento, avrebbe anche certificato l’idoneità e l’agibilità dell’opera. Secondo la medesima impresa le problematiche emerse dipenderebbero da infiltrazioni dal rivestimento a mosaico che avrebbe progressivamente comportato l’ammaloramento del tavolato.

Il progettista e direttore dei lavori architettonici espone che durante la realizzazione del fabbricato sopraggiunsero disaccordi con la committenza, con particolare riferimento alle scelte progettuali interne, alle finiture e alla coibentazione dell’edificio, cosicché rinunciò a una parte dell’incarico affidato, scorporando dal disciplinare la progettazione delle finiture interne. Il punto di vista del progettista e direttore dei lavori strutturali è che non ci sia nesso causale tra il progetto strutturale e i danni lamentati, ma che in realtà siano stati questi a compromettere la durabilità della struttura. Anche il progettista e direttore dei lavori degli impianti sostiene che non esiste un nesso tra la propria attività e le problematiche lamentate.

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Quesiti posti al CTU e accertamenti eseguiti in contraddittorio

Al CTU viene chiesto di accertare i vizi lamentati. Individuarne le cause, precisando se siano attribuibili alla progettazione o alla posa in opera o ad entrambe.

Gli accertamenti eseguiti in contraddittorio sono:

  1. Primo esame visivo dei luoghi con la constatazione che il rivestimento interno di poliuretano era fessurato in cinque posizioni.
  2. È stata effettuata una prova di bagnamento della copertura dall’esterno (Foto 2), ad esito della quale non sono state rilevate infiltrazioni d’acqua all’interno (primo indizio dell’efficace impermeabilizzazione esterna che collima con l’assenza di macchie pregresse).
  3. Sono state rimosse delle porzioni del rivestimento interno di poliuretano. Tali sondaggi hanno evidenziato, già con un semplice esame visivo, che le strutture lignee erano estesamente marcite e irrecuperabili, e che le strutture metalliche presentavano un elevato tasso di ossidazione.
  4. Sono stati eseguiti quattro carotaggi dell’involucro: è stata rilevata la stratigrafia del pacchetto di copertura con l’utilizzo di un calibro, che è risultata quella schematizzata nella Fig.3. La struttura portante della porzione indagata consiste in profili di acciaio calandrati. Completa la parte strutturale un doppio tavolato ligneo incrociato di spessore complessivo pari a cinque centimetri, poggiante sulla struttura metallica.
  5. Infine, sono stati prelevati dei campioni da sottoporre ad indagini e prove di laboratorio (Foto 4).
Condense, infiltrazioni, deterioramento dei materiali: un esempio pratico per CTU Foto 3 Il CTU per le patologie edilizie
Foto 2_Prova di bagnamento della copertura dall’esterno dell’immobile di forma ovoidale ©Il CTU per le Patologie Edilizie – Maggioli Editore
Condense, infiltrazioni, deterioramento dei materiali: un esempio pratico per CTU Foto 4 Il CTU per le patologie edilizie
Fig.3_Stratigrafia dell’involucro ©Il CTU per le Patologie Edilizie – Maggioli Editore
Condense, infiltrazioni, deterioramento dei materiali: un esempio pratico per CTU Foto 5 Il CTU per le patologie edilizie
Foto 4_Misura dell’umidità relativa sugli elementi lignei con igrometro digitale ©Il CTU per le Patologie Edilizie – Maggioli Editore

Dalle indagini compiute sono emersi i seguenti elementi:

  1. la schiuma poliuretanica interna è risultata impermeabile all’acqua;
  2. l’involucro esterno agli elementi lignei è risultato impermeabile all’acqua;
  3. la specie del legno posato è risultato il Pinus Pinea, chiamato anche “pino domestico”;
  4. nella zona sud dove era già stato rimosso lo strato di poliuretano prima dell’inizio delle operazioni peritali, nel primo strato di legno è stata rilevata una modestissima perdita di sostanza legnosa e un’umidità normale per un legno strutturale stagionato;
  5. negli strati di legno messi alla luce durante le operazioni peritali, rimuovendo lo strato di poliuretano interno, la distribuzione dell’umidità rilevata localmente in tre differenti posizioni è risultata sempre crescente verso l’esterno, raggiungendo valori anche superiori al 100% nel pannello di legno sottile;
  6. nei medesimi strati di legno messi alla luce durante le operazioni peritali, rimuovendo lo strato di poliuretano interno, l’umidità rilevata nella zona sommitale è risultata superiore (il doppio) rispetto a quella rilevata nella posizione a nord, che a sua volta è risultata superiore (quasi il doppio nel secondo strato di legno) rispetto a quella rilevata nella posizione a sud; nei punti indagati, anche la perdita di sostanza legnosa è risultata maggiore nel secondo strato prelevato nella zona sommitale;
  7. le strutture lignee sono estesamente marcite e irrecuperabili;
  8. le strutture metalliche presentano un elevato tasso di ossidazione.

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Risultanze della consulenza tecnica d’ufficio

È stato accertato che il legno è stato collocato tra due strati che naturalmente impediscono sia l‘ingresso sia la fuoriuscita di vapore acqueo o per lo meno che favoriscono il ristagno d’acqua, deleterio per il legno. Ciò è sufficiente per affermare con sicura attendibilità e serena convinzione tecnica che quanto realizzato era foriero di insuccesso, perché alla base della durabilità del legno vi dev’essere lo studio delle soluzioni atte ad allontanare l’acqua e non a trattenerla. D’altronde, nel corso delle operazioni peritali vi è stata piena condivisione sulla valutazione tecnica che i vari materiali utilizzati, presi uno alla volta, sono fuori discussione, ma non potevano essere assemblati come nel caso di specie.

Ciò premesso, diventa perfino irrilevante analizzare la natura dell’umidità rilevata nei campioni prelevati (che è anomala per un legno strutturale stagionato, risultando tuttavia minore di quello che identifica un legno imbibito). In ogni caso:

  • è verosimile (per non scrivere che è certo, anche valendosi delle risultanze delle prove di laboratorio effettuate) che non sia penetrata acqua nel legno per eventi atmosferici avvenuti dopo il completamento dell’opera;
  • non trova logica – e comunque non è stata provata (perciò non è possibile attribuirne colpe tecniche) – la tesi che possa essere penetrato vapore acqueo dal basso attraverso fessure formatesi nel poliuretano, perché è stato rilevato che nella zona sommitale l’umidità era normale dove erano presenti le fessure e dove era già stato rimosso il poliuretano, mentre era elevata nei punti messi alla luce durante le operazioni peritali;
  • è invece possibile – ma anche in questo caso manca la prova – che l’umidità misurata derivi da un accumulo di acqua accidentale, di proporzioni non particolarmente elevate, dovuto ad infiltrazioni meteoriche o ad esposizione alle intemperie durante le fasi di costruzione e messa in opera.

Ma torniamo all’unico fatto certo, al vero motivo della rovina inevitabile, che non dipende dalla provenienza dell’acqua. È noto a chi opera nel settore delle costruzioni edilizie che una soluzione corretta avrebbe dovuto prevedere ogni accorgimento possibile per allontanare l’acqua dal legno affinché l’opera avesse una vita utile di almeno 50 anni. In questo caso, al contrario, il legno è stato rinchiuso all’interno di una camera stagna: in tal modo, anche se fosse stata intrappolata solo una modesta quantità d’acqua, il degrado sarebbe avvenuto ugualmente in un tempo più lungo.

La causa della situazione fotografata è stata dunque l’uso del poliuretano spruzzato per rivestire l’interno dell’edificio. In atti non si rinvengono elaborati grafici architettonici che forniscano dettagli sulla composizione del pacchetto costruttivo, né si evince quali siano stati i dettami progettuali forniti all’esecutore. Ciò manifesta una scarsa attenzione al progetto della durabilità dell’opera, particolarmente importante ove si utilizzi il legno. È noto che esso è per natura soggetto a degrado biologico, soprattutto se posto in condizioni ambientali particolari: infatti, quando l’umidità del legno rimane sopra al 20% per un periodo di tempo sufficientemente lungo, hanno inizio i fenomeni di degrado e marcescenza ad opera di funghi della carie; tale marcescenza tende ad avere un decorso molto rapido e quando permangono le condizioni può diffondersi e compromettere le caratteristiche meccaniche-strutturali del legno.

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Il fenomeno risulta particolarmente rapido per gli elementi interni perché essi si trovano in condizioni per cui, una volta bagnati, difficilmente riescono ad asciugarsi e la marcescenza trova un ambiente ideale alla sua diffusione. Ciò collima con i risultati degli esami, che hanno evidenziato strutture lignee estesamente marcite e irrecuperabili, al punto da temere per la sicurezza statica dell’edificio; le indagini hanno peraltro accertato che il legno utilizzato nella struttura è il pino domestico, specie di bassa durezza e scarsa durabilità, particolarmente sensibile agli attacchi di funghi e insetti xilofagi.

Dunque, le cause della situazione fotografata sono innanzitutto attribuibili alla progettazione, per la mancata attenzione alla durabilità dell’opera, non solo per l’assenza dei necessari dettagli costruttivi nel progetto depositato in Comune, considerato che questo poteva essere teso al solo ottenimento del titolo edilizio. Per la buona riuscita dell’opera, si evince dagli atti di causa che non era stata data la giusta importanza agli aspetti tecnologici del rivestimento interno: infatti, la scelta esecutiva di tutte le finiture, compresi i rivestimenti, pare rientrasse nella fase della “direzione artistica”, come il progettista architettonico l‘aveva definita nel disciplinare d’incarico; la conferma della poca importanza data al rivestimento interno per la durabilità del legno e per l’efficienza di tutto l’involucro è data dalla mail prodotta in atti nella quale il progettista scrive che in corso d’opera è stato deciso (da chi?) di usare il poliuretano spruzzato per il rivestimento interno (anziché il cartongesso con interposta la coibentazione in lana di roccia) per velocità di realizzazione e per motivi estetici, senza alcun riferimento all’incidenza sul corretto “funzionamento” dell’assemblaggio dei vari strati posati.

Perciò, a giudizio di chi scrive (ndr il presente articolo è estratto dal volume Il CTU per le Patologie Edilizie di Pierfederico Marinoni e Massimo Montrucchio), anche se il progettista sostiene di essere stato esautorato dall’incarico della progettazione degli interni, il committente avrebbe dovuto già essere stato guidato verso scelte progettuali corrette, considerato che da più di due anni aveva ricevuto un incarico in cui era prevista “la definizione esecutiva e dettagliata del progetto in tutte le sue parti”.

Veniamo poi alla fase esecutiva, ugualmente importante. La considerazione del CTU è che non si sarebbe dovuto procedere alla costruzione dell’opera, soprattutto per la sua particolarità, in assenza di disegni di dettaglio che mostrassero le scelte tecnologiche del pacchetto costruttivo. In presenza dei disegni di dettaglio, invece, anche l’esecutore avrebbe potuto (dovuto?) dare un “alert”. Evidentemente la cultura (basilare) del legno non è pervenuta nel cantiere.

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Il CTU per le Patologie Edilizie

Il CTU per le patologie edilizie è un manuale pratico di supporto prezioso per i consulenti tecnici chiamati a esprimere valutazioni su danni e difetti delle costruzioni.Il CTU nell’ambito delle patologie edilizie deve essere formato, qualificato, altamente preparato sia negli aspetti procedurali che riguardano la fase del processo in cui egli interviene, sia nella materia tecnica su cui verte il contenzioso, che nel caso specifico non può prescindere dall’esperienza pratica sul campo come progettista e direttore dei lavori.L’opera fornisce un inquadramento dell’importante parte delle procedure e offre, soprattutto, una vastissima casistica, corredata da immagini e dettagli commentati, di situazioni concrete in cui i consulenti possono imbattersi durante lo svolgimento della professione, fornendo indicazioni, consigli e regole per ottemperare al meglio al proprio ruolo.Gli autori hanno messo a sistema il bagaglio di esperienze maturato in anni di lavoro sul campo, realizzando un libro di grandissimo valore pratico-operativo subito utilizzabile dai lettori per acquisire competenze concrete nell’ambito della consulenza tecnica (d’ufficio e di parte) e nella conoscenza della patologie edilizie.Pierfederico Marinoni,Geometra libero professionista dal 1991, Architetto abilitato, si occupa di progettazione edilizia sia in campo residenziale che industriale e pubblico, di consulenze tecniche, di stime immobiliari ed inventari mobiliari. Consulente tecnico d’ufficio del Tribunale di Bologna dal 1994, estensore di oltre 500 memorie tecniche. Da alcuni anni si occupa di formazione professionale. Componente Coordinatore della Commissione CTU – Contenzioso – Gestione Controversie del Collegio dei Geometri e Geometri laureati di Bologna. Già Componente effettivo del Consiglio Territoriale di Disciplina del Collegio dei Geometri e Geometri laureati di Bologna.Massimo Montrucchio,Ingegnere libero professionista, opera nel settore delle costruzioni civili occupandosi di progettazione e direzione di lavori strutturali, collaudi, consulenze tecniche d’ufficio e di parte. Già Componente del gruppo di lavoro Giurisdizionale del Consiglio Nazionale Ingegneri e Coordinatore della commissione Ingegneria Forense della Federazione degli Ingegneri Emilia Romagna, dal 2015 è Socio Ordinario ‘Expert’ dell’Associazione Italiana di Ingegneria Forense e dal 2019 esperto in ambito forense certificato CERT’ing. Già autore di un libro sulla consulenza ingegneristica giudiziaria e di altre pubblicazioni su periodici d’informazione per professionisti tecnici, relatore in corsi per la formazione dei CTU e seminari sulla deontologia dei consulenti.

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Foto di copertina: Ossidazione della struttura metallica ©Il CTU per le Patologie Edilizie – Maggioli Editore

Redazione Tecnica

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