Da ieri sono ufficialmente aperti i cantieri, e subito è stato chiaro quanto serva un chiarimento sui costi, aumentati sia nel pubblico che nel privato per l’adeguamento alle norme sanitarie, ai Protocolli e al reperimento dei DPI corretti (Validazione DPI INAIL e DM ISS: quali sono i dispositivi validati in deroga? – Articolo su Ingegneri.cc). Chi paga questi oneri aggiuntivi? Le imprese?
>> Avevamo già affrontato il tema qui: Fase 2 cantieri edili riaprono, ma chi paga gli oneri aggiuntivi?
A conferma del problema l’allarme lanciato da Ance e dal suo presidente Buia: «Nel settore dei lavori pubblici registriamo un costo maggiorato in cantiere dell’ordine del 10%, per i soli oneri sanitari. Senza contare che con il rallentamento della produzione dovuto ai nuovi vincoli cresceranno anche i costi di produzione. Qualcosa che stimiamo in 2-3 miliardi e che non siamo disposti a pagare noi. Servono norme chiare e comunicazioni altrettanto chiare da parte delle stazioni appaltanti per dire subito chi si accolla questi oneri. Non li possono sostenere le imprese».
Cantieri, costi saliti del 10%. Chi paga?
A preoccupare soprattutto Buia, oltre al chiarimento sulle spese aggiuntive, è la lentezza con cui sono riprese le attività, aggravata dal faldone della nuova modulistica necessaria per poter lavorare.
** CANTIERI E CORONAVIRUS – Le cose da sapere**
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Di mezzo ci sono anche: corsi di formazione per il personale, riorganizzare i turni di lavoro, sanificare tutti i luoghi comuni, e il problema dei mezzi di trasporto
«Per arrivare a regime servirà tempo. Possiamo dire che in quasi tutti i casi la prima settimana se ne andrà per adeguare i cantieri alle nuove norme di sicurezza che ovviamente intendiamo rispettare rigorosamente, come da accordi con i sindacati, perché noi alla salute dei nostri operai teniamo come priorità. In questo complesso lavoro di adeguamento alle nuove norme e ai protocolli le due attività principali sono al momento i corsi di formazione per il personale, che vanno fatti per gruppi ristretti di lavoratori, e le sanificazioni dei locali, dei mezzi, dei bagni, degli spazi comuni, sempre separando l’impresa principale dalle singole imprese subappaltatrici e fornitrici. Poi dobbiamo affrontare vari problemi, come quello dei mezzi di trasporto degli operai che in molti casi ora si rivelano insufficienti, considerando il limite massimo di capienza dei veicoli. Oppure l’enorme mole di modulistica, anche essa aggiuntiva, da compilare».
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E la responsabilità penale nel caso di lavoratore che contrae il Covid-19?
Di fatto è così: c’è responsabilità «anche penale» delle imprese qualora risulti che un lavoratore abbia contratto il Covid-19, e tutto a causa dell’articolo 42 del decreto Cura Italia (n. 18) che equipara la malattia del lavoratore a un infortunio sul luogo di lavoro, «con conseguenze ancora tutte da chiarire sull’impresa in termini di responsabilità. Basti pensare che una responsabilità dell’impresa per un infortunio sul lavoro comporta l’esclusione dai contratti con la pubblica amministrazione. Questo senza considerare che l’impresa non ha alcuna possibilità di sapere dove e come sia stato contratto il virus oppure chi ha frequentato il lavoratore fuori dei luoghi di lavoro».
Su questo Ance ribadisce: «Fuori di questa situazione, che impone il riscontro oggettivo di una violazione di regole da parte dell’impresa, non è attribuibile all’impresa alcuna responsabilità. O questo aspetto viene chiarito e o possiamo anche sospendere le attività».
Non c’è miglior conclusione di quella di Buia: «A lavorare e a parlare nel governo sono tanti e quello che registriamo è solo una crescita enorme della confusione». Vedremo cosa si deciderà nelle prossime ore.
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Foto: iStock/Maurian Soares Salvador
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