Architetto o schiavo? Lo sfogo di un trentenne a L’Espresso

Lo scorso 9 settembre, nella sezione “Lettere e Risposte” di L’Espresso, un architetto di 30 anni, che ha deciso di rimanere anonimo, ha inviato uno sfogo in piena regola sulla sua attuale situazione lavorativa, dall’eloquente titolo Sono un architetto o uno schiavo?. Difficile non condividere le riflessioni di questo architetto, e, tristemente, altrettanto difficile rimanerne stupiti.

Questo il testo completo della lettera:

« Sono un architetto di 30 anni. Sono libero professionista, ma lavoro in uno studio associato di dimensioni medio-grandi di Milano. Lo studio sta acquisendo un certo prestigio ed è perciò in forte crescita.
Le “assunzioni” non sono regolate da alcun contratto, né tantomeno si tratta di assunzioni, dacché nessuno dei miei colleghi è assunto: chi non è in possesso di partita Iva è a tutti gli effetti obbligato ad aprirla.

La mia giornata lavorativa dura un minimo di 10 ore, durante le quali trascorro la maggior parte del tempo alla mia postazione PC. Durante la settimana capita spesso che il lavoro si trascini oltre questo orario, o che gli associati arrivino in studio a fine giornata, e vogliano controllare l’avanzamento del progetto fino alle 21, 22, 23 di sera. Con ridicoli preavvisi sono stabilite consegne interne o esterne, che molto spesso implicano il lavoro durante il fine settimana. Quasi mai è contemplato il lavoro da casa. Mai è contemplato un compenso aggiuntivo per il lavoro extra o festivo.

Pur non avendo alcun vincolo ufficiale che leghi me e i colleghi ad orari prestabiliti, essi sono in realtà al centro dell’attenzione, e la puntualità così come la presenza oltre l’orario ufficiale vengono notate da chi coordina il lavoro. Non sempre le richieste di qualche ora o qualche giorno a fini personali sono accolte.
Vorrei poter esercitare realmente la libera professione, essendo in possesso di partita Iva, ma mi è impossibile dati i ritmi del mio ufficio.

Lavoro fuori sede, quindi pago un affitto che, essendo a Milano, è piuttosto elevato in relazione al mio stipendio, anche se riesco a non dover dipendere dalla mia famiglia. Faccio notare che, soppesato rispetto alla quantità di lavoro, il mio stipendio/ora si scosta di poco da quello di un cameriere o di un apprendista idraulico (rientrando ovviamente nel regime dei minimi).

Credo che in questo ritratto di vita quotidiana si possano ritrovare certamente non tutti, ma molti miei colleghi e molti altri giovani lavoratori, professionisti di vari settori, e ho deciso di portarlo alla sua attenzione per porre, alla luce di tutto ciò, delle semplici domande. È mai possibile che nel 2016 un architetto (e non) libero professionista abbia praticamente solo doveri e quasi nessun diritto? È possibile che non esista nessuna tutela per chi, come me, vorrebbe poter avere ritmi di vita e lavoro più equilibrati?

Siamo letteralmente abbandonati sia dallo stato che dall’ordine alla mercé di chi usa il fatto di darci lavoro come arma per fare il bello e il cattivo tempo. Sindacati, scioperi, straordinari, ferie, malattia, maternità, mobbing, regole di salute sul lavoro, norme di sicurezza: tutti termini che fanno ridere i nostri committenti, o semplicemente vengono ignorati. Il tutto ciò accompagnato da un atteggiamento delle istituzioni tanto cieco quanto naif, in cui si ci si illude che la normativa dovrebbe in qualche modo impedire uno stato di fatto che è sotto gli occhi di tutti. L’abitudine ormai consolidata è quella di un lavoro di tipo aziendale, senza le sue tutele e con tutti i suoi obblighi, sotto la forma della partita Iva.

Certo, si potrebbe obiettare che il comportamento scorretto degli studi professionali (evasioni fiscali, mancati contratti, lavoro nero, salario non equo…) dovrebbe essere denunciato e sanzionato, o che certe condizioni lavorative non sarebbero da accettare, ma ciò non fa i conti con la difficoltà di trovare lavoro, con l’enorme quantità di professionisti in cerca di uno stipendio e disposti a tutto pur di non dover fare l’ennesimo stage, e nemmeno con i legami che si creano sul luogo di lavoro con i propri datori. Infatti se da un lato la gravosità delle assunzioni per gli studi professionali è nota, dall’altro è evidente che la fama di denunciatore di datori non giovi al giovane professionista.

E’ inaccettabile che le istituzioni non elaborino una forma assistenziale attiva e operativa per una categoria sempre più in crescita, e non facciano i conti con quella che è la prassi ormai assodata, lasciando che l’iniziativa sia sempre a carico di chi invece dovrebbe essere sostenuto e difeso.

Avendo avuto io la fortuna di trovare lavoro, faccio solo un breve accenno all’enorme scandalo che sono le proposte lavorative per un giovane professionista. Prima di approdare al mio attuale studio, ho ricevuto offerte di lavoro full time a partita Iva con compenso lordo di 1000, 800, 500 euro, perfino 300 euro al mese.
E sorvolo totalmente sul ridicolo paradosso che è la formazione continua (quanti architetti realmente la effettuano? Quanti associati degli studi fanno seguire le conferenze online dalle segretarie?), o l’assicurazione professionale, che per le mansioni che un libero professionista spesso si trova a ricoprire, si rivela solo un inutile costo da sostenere, o un codice deontologico che è purtroppo pura utopia?

Siamo in un’Europa dove si inizia a parlare di giornata lavorativa di 6 ore, di smart working, di lavoro da casa, in un mondo che sembra riscoprire il fatto che l’uomo è fatto di plurime esigenze, e che il poter conciliare vita privata, lavoro, famiglia e tempo libero è utile e fruttuoso anche per l’economia. Parallelamente ci si accorge che è necessario incentivare le nascite, favorire le famiglie e le politiche sociali. Trovo tutto ciò lontano anni luce dalla realtà lavorativa che vive la mia generazione. Le proposte per una soluzione reale devono essere attive e operative oggi, e non, come sempre accade, solo sulla carta o nelle belle parole del domani. »

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Naturalmente, una lettera di questo tipo, non può che generare un ampio dibattito. Numerosi sono infatti i commenti che, nel giro di pochi giorni, hanno affollato la pagina. Molti lettori hanno consigliato all’anonimo architetto di andare all’estero, ma è possibile che questa sia l’unica soluzione? Sicuramente ci avrà già pensato, e forse se non lo ha già fatto è perché non se lo può permettere, o perché ha dei validi motivi per rimanere.

Alcuni invece, ritrovandosi nella stessa situazione, condividono pienamente lo sfogo, mentre altri sono più critici: un utente che si firma “Andrea” commenta infatti «Finché c’è gente che, come te, accetta queste condizioni lavorative, questa storia non finirà mai….»  (11 settembre 2016, alle 19:07). Sulla stessa linea “Dario Bo”: «Una decina di anni fa, subito dopo la laurea, sono precipitato anch’io in un universo lavorativo come quello descritto dal collega. Cos’ho fatto? Dopo un anno ho mollato ed ho iniziato a dedicarmi ad altro (…). Perché? Se nessuno accettasse queste condizioni lavorative vergognose, gli studi professionali sarebbero costretti a offrire maggiori garanzie. (…)» (12 settembre 2016, alle 09:24).

Qualcun altro dà la colpa al numero troppo alto di architetti in Italia, che “Davide” attribuisce ad una «scriteriata politica del “diritto alla laurea” e rifiuto del numero chiuso. Essendoci in giro un’offerta almeno 100 volte superiore alla domanda di architetti ed ingegneri il “valore” degli stessi decade miseramente. Se si accetta tale situazione e non la si denuncia non ci si dovrebbe lamentare perché ci si rende complici, omertosi, di tale situazione. (…)» (9 settembre 2016, alle 10:21).

“Antonio”, che per ora vince il premio per aver lasciato il commento più positivo, dice: «Faccio l’architetto da 30 anni, ho conosciuto ragazzi e assistenti di qualsiasi genere, capaci, illuminati, sfaccendati e disonesti… credo solo che la perseveranza e la passione porti alla professione anche nelle peggiori condizioni, (…) chi persevera vince!» (11 settembre 2016, alle 17:29). Certo è che, come non manca di sottolineare l’anonimo architetto nella sua lettera, è un po’ difficile mantenere intatta la passione e perseverare quando non ci si sente tutelati ma ci si sente, di contro, presi in giro.

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Articolo originariamente pubblicato su Architetti.com

Redazione Tecnica

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