Abusi edilizi parti comuni: a chi deve essere notificata l’ordinanza della P.A.?

Per gli abusi su parti di proprietà esclusiva l’ordine di demolizione deve essere notificato al proprietario o all’esecutore materiale dell’opera, ma cosa succede quando gli abusi sono edificati su parti di proprietà comune?

In via preliminare bisogna ricordare che il condominio viene considerato come un ente di gestione – che opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti e limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino – privo di personalità giuridica.

In altre parole, il condominio non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini (Cass. civ., Sez. Un., 08/04/2008, n. 9148).

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Del resto, l’articolo 1131 c.c. precisa che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio” e a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto (comma 2) e che, ove la citazione abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, “è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini” (terzo comma), pena la revoca dall’incarico e la responsabilità per danni (quarto comma).

Abusi parti comuni, notifica all’amministratore?

La giurisprudenza di legittimità individua la ratio della previsione normativa circa la legittimazione passiva dell’amministratore nell’obiettivo di “facilitare ai terzi la convocazione in giudizio del condominio” (Cass. civ., sez. II, 04/05/2005, n. 9213). Riconosce, quindi, l’illimitatezza di tale legittimazione e l’asimmetria rispetto alla legittimazione attiva, quest’ultima circoscritta entro i limiti delle attribuzioni dell’amministratore

Di conseguenza se non vi è dubbio che, ai sensi dell’articolo 34 del Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/01), allorché sia accertato un abuso edilizio realizzato su parti di proprietà esclusiva, il susseguente ordine di demolizione debba essere notificato al proprietario o all’esecutore materiale dell’opera, appare più complessa la situazione allorquando si verta in materia di costruzioni non assentite o difformi dal titolo, edificate su parti di proprietà comune.

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La posizione minoritaria

Secondo una tesi la legittimazione processuale passiva dell’amministratore non incontra limite alcuno, né richiede una specifica autorizzazione a stare in giudizio dall’assemblea condominiale (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2010, n. 12622); di conseguenza, per questa opinione se ne deve dedurre necessariamente che il destinatario dei provvedimenti dell’autorità amministrativa che sanzionano gli abusi edilizi relativi alle parti comuni, non può che essere l’amministratore di condominio. Anche in questo caso si dovrebbe tenere conto, infatti, dell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini.

La tesi prevalente

La tesi prevalente è stata recentemente ribadita dal Tar Sicilia con la sentenza n. 3130 del 1 dicembre 2022.

Nel caso esaminato un Comune aveva adottato due distinte ordinanze repressive, aventi entrambe per destinatario l’amministratore pro tempore di un caseggiato, con le quali, rispettivamente, gli si ordinava il pagamento di una sanzione pecuniaria per la realizzazione di opere abusive nelle parti comuni in assenza di autorizzazione o d.i.a., nonché di procedere al ripristino dello stato dei luoghi, secondo il Comune abusivamente modificati, per alcune “altre opere”, di proprietà esclusiva di alcuni condomini.

L’amministratore contestava, con memoria trasmessa al Comune, entrambi i provvedimenti, evidenziando che l’eventuale pagamento della sanzione pecuniaria irrogata con la prima ordinanza non avrebbe costituito, comunque, acquiescenza alle contestazioni mosse; inoltre sottolineava che, per la seconda ordinanza, non sussistevano le condizioni per l’applicazione della sanzione della rimessione in pristino e l’acquisizione al patrimonio comunale e che, comunque, egli non poteva essere destinatario di una tale ordinanza (riguardante pretesi abusi su immobili di proprietà privati).

Successivamente, nel silenzio dell’Amministrazione comunale, lo stesso amministratore proponeva l’azione di annullamento dei due provvedimenti. Il Tar ha dato torto al Comune.

A parere dei giudici ammnistrativi, se gli abusi rilevati risultino realizzati su parti di proprietà esclusiva, l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi abusivamente modificati non può certo essere rivolta all’amministratore pro tempore del condominio, non risultando lo stesso qualificato come “responsabile dell’abuso”; in ogni caso, ad avviso del Tar, se gli abusi rilevati risultano realizzati su parti comuni, l’ordinanza di ripristino non può essere rivolta all’amministratore pro tempore del condominio, atteso che le parti comuni dell’edificio non sono di proprietà dell’ente condominio, ma dei singoli condomini. A tanto consegue che la misura volta a colpire l’abuso realizzato sulle parti comuni deve essere indirizzata esclusivamente nei confronti dei singoli condomini, in quanto unici (com)proprietari delle stesse (conforme, ad esempio, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 10 luglio 2020, n. 3005).

Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista 

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Immagine: iStock/PrathanChorruangsak

Giuseppe Bordolli

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