Nel corso dei secoli lo sfruttamento delle risorse minerali ha conosciuto fasi alterne di espansione più o meno intensa che hanno portato l’industria estrattiva italiana a rivestire una posizione di primo piano a livello europeo e di recessione se non addirittura di dissuasione dell’attività mineraria. In ogni caso, queste alterne vicende hanno lasciato e continuano a lasciare le loro tracce sul nostro territorio, in quanto l’estrazione e la valorizzazione delle materie prime minerali implica sempre delle imprescindibili interazioni con l’ambiente naturale, il territorio, il contesto socio-economico.
Il primo censimento è stato realizzato alla fine degli anni Ottanta dall’Istituto di Scienze Minerarie dell’Università di Bologna, nell’ambito di un programma di ricerca, finanziato dalla Direzione delle attività diversificate dell’Agip Petroli S.p.A. Il progetto era rivolto alla localizzazione dei centri estrattivi che avevano operato a partire dall’unità d’Italia con lo scopo di individuare possibili utilizzazioni di impianti, centri abitativi, villaggi minatori, strutture e cavità sotterranee per nuove finalità.
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Il lavoro è stato sviluppato nell’ambito del programma di ricerca “Recupero ambientale di aree minerarie: indagine preliminare relativa alla situazione italiana”, promosso dalla stessa compagnia petrolifera italiana e volto alla localizzazione dei vuoti minerari sotterranei derivanti dall’attività estrattiva, nell’ottica dell’individuazione di possibili riutilizzi per nuove finalità.
Grazie alla convergenza tra gli interessi scientifici e culturali dell’Università e quelli aziendali dell’Agip Petroli S.p.A., si è potuto dare inizio ad un articolato programma di ricerca pluriennale rivolta al censimento, alla caratterizzazione e alla catalogazione delle aree che nel secolo compreso tra il 1889 e il 1989 erano state sede di attività di estrazione e di valorizzazione di minerali solidi di prima categoria. Il lavoro, ha portato alla realizzazione di un inventario del patrimonio minerario nazionale, che ha permesso la raccolta dei dati relativi ad oltre 1200 siti minerari che hanno operato sul territorio nazionale negli anni dal 1889 al 1989.
Cave e miniere: che differenza c’è?
La distinzione tra cave e miniere è puramente giuridica ed è legata alla tipologia di minerale estratto. Il Regio Decreto 1443/27, che rappresenta ancora oggigiorno la legge di riferimento per il settore estrattivo, distingue i minerali in due categorie. In particolare, all’art. 2 sancisce: “Le lavorazioni indicate nell’art. 1 [ovvero la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e delle energie del sottosuolo, industrialmente utilizzabili] si distinguono in due categorie: miniere e cave”.
Appartengono alla prima categoria la ricerca e la coltivazione delle sostanze ed energie seguenti:
- minerali utilizzabili per l’estrazione di metalli, metalloidi e loro composti, anche se detti minerali siano impiegati direttamente;
- grafite, combustibili solidi, liquidi e gassosi, rocce asfaltiche e bituminose;
- fosfati, sali alcalini e magnesiaci, allumite, miche, feldspati, caolino e bentonite, terre da sbianca, argille per porcellana e terraglia forte, terre con grado di refrattarietà superiore a 1630 gradi centigradi;
- pietre preziose, granati, corindone, bauxite, leucite, magnesite, fluorina, minerali di bario e di stronzio, talco, asbesto, marna da cemento, pietre litografiche;
- sostanze radioattive, acque minerali e termali, vapori e gas.
Appartiene alla seconda categoria la coltivazione:
- delle torbe;
- dei materiali per costruzioni edilizie, stradali ed idrauliche;
- delle terre coloranti, delle farine fossili, del quarzo e delle sabbie silicee, delle pietre molari, delle pietre coti;
- degli altri materiali industrialmente utilizzabili ai termini dell’art. 1 e non compresi nella prima categoria.”
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Cave e miniere: la messa in sicurezza di emergenza
Il D.Lgs. 152/06 all’art. 240, lettera m) definisce la “messa in sicurezza d’emergenza: ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”.
Tale definizione mette in evidenza una condizione di potenziale pericolo imminente che potrebbe causare danni per la salute dell’uomo, dell’ecosistema e dell’ambiente. Ciò è più facilmente deducibile, oltre che dalla definizione sopra riportata, dalla definizione di cui alla lettera t) del medesimo articolo: (t)condizioni di emergenza: gli eventi al verificarsi dei quali è necessaria l’esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio:
- concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;
- presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda:
- contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;
- pericolo di incendi ed esplosioni.
La definizione di “messa in sicurezza d’emergenza” presenta un carattere di attuazione immediata e a breve termine degli interventi, nelle more dell’esecuzione della bonifica e/o della messa in sicurezza permanente. Inoltre, gli interventi devono essere finalizzati ad impedire la diffusione dei contaminati potenzialmente pericolosi.
Nelle aree minerarie dismesse si delineano gli aspetti legati ad eventi o situazioni determinate nell’ambito della preesistente attività estrattiva, che possono minacciare l’integrità della salute dell’uomo, dell’ambiente, dei beni, degli insediamenti e del paesaggio e rivestono caratteristiche di emergenza.
L’esperienza maturata sulle aree minerarie dismesse negli ultimi anni ha evidenziato che sono riscontrabili principalmente due fasi in cui si rende necessario attuare interventi:
- ad un primo esame dello stato dei luoghi (Fase 1), sia per garantire agli operatori l’accessibilità in condizioni di sicurezza, sia per arrestare l’eventuale processo di decadimento in atto delle strutture minerarie, al fine di preservare le testimonianze dell’attività estrattiva con caratteristiche storico-culturali significative;
- a conclusione del piano di caratterizzazione (Fase 2), quando le conoscenze dello stato dei luoghi e della contaminazione delle matrici ambientali consentono di formulare il modello concettuale definitivo ed evidenziare condizioni di contaminazione che, per evitare la compromissione della salute dell’uomo o della qualità dell’ambiente, non possono attendere il completamento della bonifica e richiedono interventi immediati.
Qualora in un sito minerario si riscontrasse una situazione a cui si attribuisce un carattere di potenziale pericolo imminente, che potrebbe causare danni per la salute dell’uomo, o per la qualità dell’ecosistema e dell’ambiente, tale situazione deve essere identificata quale “condizione di emergenza”.
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A titolo indicativo, di seguito sono elencate le più comuni condizioni di emergenza riscontrabili nelle aree minerarie dismesse, in ciascuna delle fasi sopradescritte.
Nella Fase 1:
- condizioni di instabilità statica degli abbancamenti dei residui minerari che possono determinare un pericolo per l’incolumità delle persone, quali eventi franosi su edifici o infrastrutture;
- lavori minerari aperti, quali: pozzi, gallerie, scavi o edifici pericolanti;
- rifiuti di natura diversa da quelli estrattivi, abbandonati sul territorio, quali, ad esempio oli esausti, trasformatori elettrici, serbatoi con residui, materiali ferrosi, materiali contenenti amianto.
Nella Fase 2:
- condizioni di instabilità statica degli abbancamenti dei residui minerari;
- dispersione, con conseguente pericolo chimico rilevante, dei residui di trattamento mineralurgico a granulometria fine nelle matrici ambientali;
- immissione delle acque di miniera, con elevate concentrazioni di contaminanti, nei corpi idrici superficiali.
Quantunque le condizioni di emergenza sopraelencate non siano spesso riconducibili ad eventi recenti, ma derivino dalle pregresse attività estrattive condotte secondo le pratiche usuali dei tempi passati e pertanto senza l’obbligo di porre in essere i minimi presidi necessari alla salvaguardia dell’ambiente, in alcuni casi lo stato di abbandono delle aree minerarie dismesse può condurre al verificarsi di un’improvvisa modifica dell’ambiente e comportare un potenziale pericolo immediato per la salute dell’uomo o per la qualità dell’ambiente.
Per questo motivo, nelle citate fasi d’indagine, ma anche nel corso delle opere di bonifica, deve essere valutata la necessità di intervenire in emergenza ed evitare un aggravamento ulteriore dello stato di compromissione di queste aree. Ove si riscontri una condizione di emergenza è necessario agire tempestivamente, mediante interventi atti ad impedire effetti dannosi per l’ambiente e per la salute umana. In particolare si dovranno eseguire:
- interventi atti ad impedire la diffusione della contaminazione verso le matrici ambientali circostanti;
- interventi atti ad impedire il contatto diretto dei contaminanti con i possibili fruitori dell’area (anche occasionali).
Qualora le azioni sopraddette vengano attuate in un’area in cui sia già stata formulata una linea di progetto operativo degli interventi, occorre individuare delle misure di messa in sicurezza d’emergenza che non compromettano, dal punto di vista tecnico ed economico, gli interventi successivi.
È bene precisare che nella maggior parte dei casi, le aree minerarie dismesse si trovano in una condizione di compromissione dovuta alla diffusione della contaminazione già avvenuta da diversi decenni.
Siti minerari abbandonati
L’analisi dei dati raccolti mette in evidenza la presenza di un gran numero di siti, privi di concessione, a testimonianza dell’inesorabile declino che ha colpito il comparto estrattivo di minerali di prima categoria negli ultimi decenni del secolo scorso.
Nella maggior parte dei casi si tratta di miniere con coltivazioni in sotterraneo (1897 siti), con 490 siti con vecchie coltivazioni a cielo aperto e solo 86 siti abbandonati coltivati in parte a cielo aperto e in parte in sotterraneo.
La Regione col maggior numero di siti abbandonati è la Sicilia (con 756 siti minerari abbandonati su 765 totali). In generale, la stragrande maggioranza dei siti minerari in stato di abbandono si colloca nelle regioni che hanno avuto la storia mineraria più significativa. Alla Sicilia, seguono, infatti, la Toscana con 347 siti, il Piemonte (339), la Lombardia (249) e la Sardegna (186).
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