La realizzazione muri di cinta (altrimenti detti muri di recinzione) e le cancellate che non superano la soglia della “trasformazione urbanistico-edilizia” non richiede il permesso di costruire. Lo dice il Consiglio di Stato. In generale, la loro realizzazione rimane assoggettata al regime della SCIA, se non superano in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia. Serve invece il permesso di costruire quando superano la soglia.
Ma per definizione i muri di cinta non superano tale soglia, quindi i muri di cinta non richiede mai il permesso di costruire.
Lo conferma la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 10/2016 del 4 gennaio.
Ricordiamo che per muro di cinta (nella dizione contenuta nell’art. 4, comma 7, lett. c), d.l. 5/10/1993 n. 398, convertito con modificazioni in Legge 4/12/1993 n. 493, e sostituito per effetto dell’art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662) si deve intendere l’opera di recinzione che non modifica sostanzialmente la conformazione del terreno e che assume natura pertinenziale in quanto ha solo la funzione di delimitare, proteggere o al limite abbellire la proprietà.
Un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha determinate caratteristiche:
– destinazione a recingere una determinata proprietà,
– altezza non superiore a tre metri,
– emerge dal suolo ed ha entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni.
Nel Testo unico dell’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non è scritto se per il muro di cinta ci sia bisogno del permesso di costruire come intervento di nuova costruzione (ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) o se sia sufficiente la denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001.
In seguito viene richiesta la segnalazione certificata di inizio di attività, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell’articolo 49 d.-l. 31 maggio 2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122.
Per capire che tipo di permesso occorre, bisogna far riferimento all’impatto effettivo che le opere generano sul territorio, dice il CdS.
“L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso che più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorre far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie”.
Quindi “Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990”.
Come detto sopra, appare pleonastico l’aggettivo “modesto”, perchè un muro di cinta è sempre modesto, in quanto per definizione del suddetto d.l. 5/10/1993 n. 398 non altera mai la configurazione del territorio. Visto che il CdS considera “modesto” il muro di cinta che non altera il territorio, l’aggettivo diventa di troppo.
Ne consegue che la sentenza del CdS vale per tutti i muri di cinta. Dunque, tale sentenza non dice niente di nuovo rispetto all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell’articolo 49 d.-l. 31 maggio 2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122.
“Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n. 3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel singolo intervento aveva determinato un’incidenza sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia”.
Dunque, non c’è una misura standard oltre alla quale si può dire che il muro di cinta cessa di essere tale e cambia la connotazione territoriale e necessita di PDC. Dipende dal singolo territorio, dalla sua conformazione e dalle opere che vi sono già costruite.
Tutti i virgolettati sono tratti dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 10/2016 del 4 gennaio sui muri di cinta.
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