Non sempre è di facile individuazione la vera natura di un’opera edilizia e, stabilire quindi, se la stessa possa essere annoverata tra le opere pertinenziali e, questo, sia per l’applicazione del regime autorizzatorio che per quello sanzionatorio.
Ma quali sono i criteri che ci permettono di identificare inequivocabilmente i due distinti regimi?
In generale, la natura pertinenziale di un’opera edilizia è ravvisabile solo quando si verificano le seguenti condizioni:
– non comporta un nuovo volume, come nel caso di una tettoia o di un porticato aperto almeno su tre lati;
– comporta un nuovo e modesto “volume tecnico”;
– è in ogni caso sfornita di un “autonomo valore di mercato”;
– non comporta alcun consumo di suolo o carico urbanistico.
Infatti, posto che ha natura di pertinenza, soggetta ad autorizzazione edilizia, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posta in durevole e funzionale rapporto di subordinazione con altra preesistente, per rendere più agevole l’uso o aumentarne il decoro.
Diversamente, l’opera in esame non si potrebbe considerare tale e sarebbe, invece, soggetta al regime del permesso di costruire, poiché si tratterebbe di nuova costruzione e dovrebbe essere inserita in un contesto differente, suscettibile di autonomi atti di disposizione, nonché valutabile autonomamente in termini di cubatura, non precario e con autonomo valore di mercato.
Si deve infatti trattare di un’opera edilizia preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo; inoltre la nozione di pertinenza, rilevante ai fini dell’autorizzazione, deve essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia, di talché non è, quindi, possibile consentire la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché destinate, dal proprietario, al servizio ed ornamento del bene principale (Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1953).
La qualifica di pertinenza urbanistica è quindi applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (Consiglio di Stato, sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817).
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