L’installazione degli impianti di telefonia mobile hanno sempre dato origine a notevoli disagi nella cittadinanza a causa dell’inquinamento da elettrosmog, creando non poche controversie giudiziarie per l’applicazione delle disposizioni locali che spesso confliggono con le norme sovraordinate.
Molti Comuni infatti si sono dotati di una specifica pianificazione territoriale, regolamentando i limiti delle emissioni dei relativi impianti, le distanze da rispettare dai fabbricati esistenti, nonché la documentazione da allegare alla richiesta di installazione.
Il responsabile dell’area territorio ed ambiente di un Comune ha comunicato il parere “non favorevole” al rilascio di permesso di costruire, basando il diniego su diversi profili, tra cui:
– la mancanza dell’autorizzazione del dipartimento regionale sicurezza sociale e politica ambientale;
– la mancanza del parere radioprotezionistico rilasciato dall’ARPA;
– la mancanza del contratto di locazione con titolo autorizzativo;
– la collocazione dell’impianto ad una distanza inferiore a 100 metri dai fabbricati esistenti, in violazione del vigente piano comunale degli impianti di telecomunicazione.
In sede di ricorso giurisdizionale, si è espressa la III Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 16 aprile 2014, n. 1955, ritenendo che l’autorizzazione regionale di cui trattasi deve ritenersi superata dalle disposizioni recate dall’articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 Codice delle comunicazioni elettroniche, le quali prevedono un’unica autorizzazione all’installazione di impianti radioelettrici e la modifica delle emissioni (ovvero la formazione tacita del titolo abilitativo) dell’ente locale; autorizzazione che assorbe in sé e sintetizza ogni altra autorizzazione, ivi comprese quelle richieste dal testo unico delle disposizioni in materia edilizia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 98).
La potestà a contenuto pianificatorio dei Comuni di fissare i propri criteri, deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, ciò non solo non comporta la possibilità di un divieto generalizzato di installazione in determinate zone urbanistiche, ma neppure di imporre misure di carattere generale sostanzialmente cautelative rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, qual è quella concernente la distanza di almeno 100 metri dagli edifici, poiché tanto contrasta con l’articolo 4 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, il quale riserva allo Stato la competenza a determinare i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità con criteri unitari ed in base a parametri validi su tutto il territorio nazionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2010, n. 9414).
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