Il regime delle distanze tra gli edifici è regolato dall’articolo 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e suddivide la questione in due principali aspetti, quella di edifici che si fronteggino con pareti finestrate e quella con pareti prive di finestre, ma vediamo di far luce sulla nozione di pareti finestrate (consulta anche la nostra Pagina Speciale Distanze in Edilizia).
La norma delle distanze tra gli edifici di per sé appare chiara, ma per la sua corretta applicazione ci si può avvalere anche della giurisprudenza di merito che, nel tempo, ha delineato i diversi aspetti interpretativi, da ultimo, si è espressa la IV Sezione del Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 5557, del 22 novembre 2013 (leggi anche Distanze tra gli edifici: il limite vale da tutti i lati dell’edificio) .
In tale ambito, la consolidata giurisprudenza di legittimità civile ed amministrativa si è orientata, in merito all’applicazione della disciplina inderogabile di legge in materia di distanze, che non è necessario che entrambe le pareti frontistanti siano finestrate, ma è sufficiente che lo sia una soltanto di esse.
La distanza di dieci metri, che deve sussistere tra edifici antistanti si riferisce a tutte le pareti finestrate, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra (Consiglio di Stato Sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).
In particolare, la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’art. 9, del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in aggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche a estendere e ampliare per l’intero fronte dell’edificio la parte utilizzabile per l’uso abitativo.
Si evidenzia soprattutto che, per “pareti finestrate”, ai sensi dell’art. 9 del citato decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e di tutti quei regolamenti edilizi locali che ad esso si richiamano, devono intendersi, non (soltanto) le pareti munite di “vedute”, ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti (T.A.R. Piemonte, 10 ottobre 2008, n. 2565; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 7 giugno 2011, n. 1419).
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