Se gli interventi di restauro e risanamento sono realizzati senza la dichiarazione di inizio attività, l’amministrazione comunale non può ordinare la demolizione degli edifici interessati, ma può solo comminare una sanzione pecuniaria. Lo ha chiarito il T.A.R. Lazio Roma con la sentenza n. 6131/2013. Tali tipologie di lavoro infatti sono soggette al regime della denuncia di inizio attività (Dia) e non a quello del permesso di costruire.
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Dicono i giudici con la sentenza 6131/2013: gli interventi di restauro e risanamento conservativo non sono qualificabili come interventi che implicano una trasformazione edilizia e non sono, per questo motivo, soggetti al regime del permesso di costruire ma a quello della dichiarazione di inizio attività.
Se l’intervento non comporta una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non si richiede il rilascio di un permesso di costruire, ma la presentazione di una DIA. Perciò, se la Dia non è stata inoltrata, è irrogabile solo la sola sanzione pecuniaria e non può partire la misura della demolizione.
Dalla definizione legislativo di “intervento di restauro e risanamento conservativo” si capisce con chiarezza che tale tipo di intervento ha come fine la conservazione e non la trasformazione dell’edificio, del quale si conservano gli elementi strutturali e formali: l’intervento di restauro e risanamento conservativo è quello rivolto “a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali, e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili”.
L’intervento comprende “il consolidamento, il ripristino e rinnovo degli elementi costituitivi dell’edificio, l’inserimento degli impianti richiesti dalle esigenze d’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio” (art. 31, comma 1 lett. “c” della legge 5 agosto 1978 n. 457, ora art. 3 del d.lgs. n. 380/2001).
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