Recinzione e palificata in cemento, SCIA o permesso di costruire

Se nuova costruzione richiede il permesso, altrimenti è sufficiente la SCIA. Ma qual è la discriminante? Facciamo chiarezza con la rassegna sentenze di oggi

Mario Petrulli 08/07/21

Siamo al consueto appuntamento settimanale con la rassegna di sentenze in materia edilizia e urbanistica. Il tema di apertura riguarda i permessi necessari per realizzare una recinzione o palificata in cemento: la discriminante è data dall’estensione dell’opera edilizia, ovvero se modifica o meno l’assetto urbanistico.

Oltre a questo argomento, in rassegna ci sono altri interessanti argomenti tra cui:

convenzione urbanistica, casi in cui la realizzazione delle opere di urbanizzazione è obbligo dell’ente,
SCIA inibitoria oltre i 30 giorni, quando è illegittima?,
cambio destinazione d’uso da deposito o attività commerciale, quale permesso?,
– realizzazione di una veranda, quale titolo edilizio serve?

Riportiamo in dettaglio le sentenze, e segnaliamo che per chi si occupa di permessi di costruire, SCIA, sanatorie paesaggistiche, condoni edilizi e ambientali, potrebbe essere utile il volume Come sanare gli abusi edilizi  di Nicola D’Angelo (Maggioli Editore), con casi concreti, formulario, giurisprudenza, tabelle e schemi esemplificativi.

Recinzione e palificata in cemento, SCIA o permesso di costruire

TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. 21 giugno 2021, n. 4236

Una palificata realizzata con pali in cemento prefabbricato è una nuova costruzione richiedente il permesso di costruire

Una palificata realizzata con pali in cemento prefabbricato, finalizzata a porre rimedio ad una situazione di pericolo concreto derivante da avvenuti smottamenti del terrapieno nei pressi di un’abitazione, è un intervento di nuova costruzione ex art. 3 lett. e) del D.P.R. 380/01, in quanto si realizza un nuovo organismo edilizio, caratterizzato da un proprio impatto volumetrico ed ambientale e, dunque, idonei a determinare una trasformazione del territorio di riferimento; conseguentemente, è necessario il permesso di costruire.

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Convenzione urbanistica, casi in cui la realizzazione delle opere di urbanizzazione è obbligo dell’ente

Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 21 giugno 2021, n. 4766

Nell’ipotesi in cui sia stata stipulata una convenzione urbanistica, il compimento effettivo delle opere di urbanizzazione non rappresenta un’obbligazione sinallagmatica a carico dell’Amministrazione comunale; quest’ultima può, quindi, sempre pretendere il pagamento delle obbligazioni derivanti da tale convenzione, indipendentemente dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione

Anche nell’ipotesi in cui sia stata stipulata una convenzione urbanistica, è giurisprudenza del tutto pacifica quella secondo cui il compimento effettivo delle opere di urbanizzazione non rappresenta un’obbligazione sinallagmatica a carico dell’Amministrazione comunale; quest’ultima può, quindi, sempre pretendere il pagamento delle obbligazioni derivanti da tale convenzione, indipendentemente dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2020, n. 7934).

Le convenzioni urbanistiche, infatti, sono accordi ad oggetto pubblico con i quali l’Amministrazione realizza esclusivamente finalità istituzionali (Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2019, n. 1341). Ne deriva che, poiché i diritti e gli obblighi ivi previsti sono strumentali a dette finalità, anche la convenzione urbanistica non ha una “specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento di contrapposti interessi delle parti stipulanti”, bensì si configura come “accordo endoprocedimentale dal contenuto vincolante quale mezzo rivolto al fine di conseguire l’autorizzazione edilizia” (Cass. civ., Sez. I, 17 aprile 2013, n. 9314; cfr., anche, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 1° agosto 2018, n. 4743, e Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3058).

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SCIA inibitoria oltre i 30 giorni, quando è illegittima?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 23 giugno 2021, n. 1538

Illegittima l’inibitoria di una S.C.I.A. già consolidatasi

Una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo previsti dall’art. 19 della legge n. 241/1990, la SCIA costituisce titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere rimosso solo mediante l’esercizio del potere di autotutela decisoria.

È, pertanto, illegittima l’adozione, da parte dell’amministrazione comunale, del provvedimento repressivo-inibitorio di una SCIA già consolidatasi, oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 9 marzo 2020, n. 371).

Infatti, una volta perfezionatasi la SCIA, l’attività del Comune deve necessariamente essere condotta nell’ambito di un procedimento di secondo grado, avente a oggetto il riesame di un’autorizzazione implicita che ha già determinato la piena espansione del c.d. ius aedificandi (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 7 gennaio 2019, n. 9).

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Cambio destinazione d’uso da deposito o attività commerciale, quale permesso?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 24 giugno 2021, n. 1554

Il mutamento di destinazione d’uso da deposito o attività commerciale ad ufficio richiede il permesso di costruire

Com’è noto, l’art. 23 ter del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) così recita: “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”.

La giurisprudenza interpreta la norma de qua in modo rigoroso, ritenendo che il cambio di destinazione d’uso abbia tendenzialmente una giuridica apprezzabilità e, come tale, non possa essere liberamente eseguito previa CILA, ma debba essere assentito mediante permesso di costruire (TAR, Sez. II, n. 451 del 18.02.202); afferma, infatti, che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, assentibile solo mediante permesso di costruire, in presenza o meno di opere edilizie, sia quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e influisce, in via consequenziale e automatica, sul carico urbanistico senza necessità di ulteriori accertamenti in concreto, poiché la semplificazione delle attività, voluta dal legislatore, non si è spinta fino al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono sostanzialmente non assimilabili anche in caso di mancato incremento degli standard urbanistici, a conferma della scelta già operata con il DM 1444/1968 (Tar Napoli, Sez. VII, 27.04.2020, n. 1496; Consiglio di Stato sez. IV, 13/11/2018, n.6388).

Tanto premesso, la fattispecie del passaggio tra categorie funzionali disomogenee ed autonome (mutamento da deposito, o comunque attività commerciale, ad ufficio, e cioè a categoria direzionale) integra gli estremi di un mutamento giuridicamente rilevante della destinazione d’uso, soggetto, come tale, al previo rilascio del permesso di costruire, stante la sua idoneità ad incidere sul carico urbanistico (Cass. pen., III, n. 5770/2017 e n. 12904/2015; Cons. di Stato, sez. VI, n. 1951/2016, sez. IV, n. 974/2015; T.A.R. Campania, III, n. 4249/2017; T.A.R. Lombardia Milano, II, n. 344/2016; TAR Napoli, sez. VII, 06.11.2017, n. 5152; Consiglio di Stato sez. IV, 13/11/2018, n.6388).

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Realizzazione di una veranda, quale titolo edilizio serve?

TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 22 giugno 2021, n. 4280

Serve il permesso di costruire per la veranda

La veranda non può essere considerata né un’opera minimale né pertinenziale.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la nozione di “pertinenza urbanistica” è meno ampia di quella definita dall’art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, sent. 17 maggio 2010, n. 3127).

In tal senso, si è chiarito che finanche gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.

Conseguentemente, per la realizzazione di due verande in alluminio anodizzato e vetri, rispettivamente di m. 8 x 1,2 x 3 di altezza e di m. 2,5 x 1,2 x 3, necessita il permesso di costruire.

In merito alla qualificazione di detto intervento, va ribadito che, come pure risulta dalla costante giurisprudenza (v. T.A.R. Napoli, sez. IV, 15/01/2015, n. 259 e, da essa richiamate, T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 06 luglio 2007, n. 6551; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 maggio 2008 , n. 4255; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 847), gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumetrica e architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande edificate sulla balconata o sul terrazzo di copertura di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio di permesso di costruire.

Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile (Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2008, n. 14329).

In tal senso, si è affermato che non può assumere rilievo, in senso contrario, la natura dei materiali utilizzati per tale chiusura, in quanto la chiusura, anche ove realizzata con pannelli in alluminio o in legno, costituisce comunque un aumento volumetrico (nel caso di specie, una parte del manufatto è realizzata in muratura). Inoltre, le strutture fissate in maniera stabile al pavimento, comportano la chiusura di una parte del balcone o del terrazzo, con conseguente aumento di volumetria. Ed invero in materia urbanistico – edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 24.5.2010, n. 8342; Tar Piemonte, 12.7.2005, n. 2824).

Ancora, gli interventi in oggetto determinano la modifica dei prospetti. Pertanto, la realizzazione di tali opere è qualificabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/01, nella misura in cui realizza “l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso delle verande, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, IV, 21.12.2007, n. 16493).

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In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Foto: iStock/RMAX

Mario Petrulli

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