Permesso di costruire decaduto, il rilascio di un titolo in variante è illegittimo?

Eccoci alla rassegna settimanale di sentenze, con permessi di costruire, ma anche attività libera. Interessante anche il tema sulle dichiarazioni sostitutive di notorietà. Vediamole tutte.

Mario Petrulli 12/09/19

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la scorsa settimana; gli argomenti oggetto delle pronunce sono: serve il permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso da locali tecnici/servizi a residenziale? Una baracca di 60 mq. è o no una pertinenza? Richiede il permesso di costruire? E ancora: le dichiarazioni sostitutive di notorietà sono valide per provare il momento di realizzazione dell’abuso edilizio nel processo amministrativo? Rivestano effettivo valore probatorio?

Permesso di costruire decaduto e rilascio di un titolo in variante illegittimo, come funziona?

TAR Abruzzo, sent. 5 settembre 2019 n. 450

Illegittimo il rilascio di permesso in variante in assenza di istanza di proroga e con il titolo originario decaduto

Illegittimo l’operato del Comune che, in violazione dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di un’istanza di proroga proposta anteriormente alla scadenza del titolo, anziché adottare un provvedimento vincolato recante la ricognizione dell’intervenuta decadenza del permesso di costruire originario, rilascia un permesso di costruire in variante ad un titolo ormai decaduto.

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TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 4 settembre 2019 n. 1508

Una baracca di 60 mq. non è una pertinenza e richiede il permesso di costruire

Una baracca di ben 60 mq. realizzato su platea di calcestruzzo, determinante un incremento volumetrico urbanisticamente rilevante e, quindi, un’alterazione dell’assetto edilizio e urbanistico del territorio tale da essere qualificabile in termini di “nuova costruzione”, è soggetta al prevenivo rilascio del permesso di costruire (art. 3 comma 1, lett. e) ed art. 10, comma 1, lett a) D.P.R. n. 380/2001).

Il manufatto in questione, funzionale a soddisfare esigenze non già temporanee e transitorie bensì stabili e durevoli nel tempo, essendo destinato a “deposito”, non può farsi rientrare nella categoria edilizia dei cd. “interventi pertinenziali” di cui alla lettera e.6) dell’art. 3 del citato D.P.R., in quanto, la nozione “urbanistica” di pertinenza edilizia differisce profondamente da quella civilistica.

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Ed invero gli interventi pertinenziali, per come desumibile innanzitutto dal tenore letterale della norma appena richiamata, devono non soltanto rispettare il limite dimensionale del 20% del volume dell’edificio principale ma anche presentare specifiche caratteristiche “funzionali”.

Sul punto, la giurisprudenza ha più volte chiarito che per poter qualificare un’opera edilizia in termini di “pertinenza” occorre avere riguardo a “tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse e ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato. Quest’ultimo deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all’interno di essa. L’applicazione di tali criteri induce a concludere che i volumi tecnici degli edifici, per essere esclusi dal calcolo della volumetria, non devono assumere le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità(T.A.R. Campania, Napoli, IV, 2.4.2015, n. 1927; III, 9.12.2014, n. 6431; VI, 6.2.2014, n. 785; T.A.R. Molise, 31.3.2014, n. 225; Cons. Stato, IV, 4.5.2010, n. 2565)” (così T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 23/06/2017, n. 3439).

L’operazione di verifica dei parametri sopra indicati non può che avere, nel caso in esame, esito negativo, giacché la baracca di ben 60 mq oggetto di demolizione non è legata né al fondo agricolo condotto dalla ricorrente né all’abitazione di quest’ultima da un rigido rapporto di strumentalità “necessaria”, essendo al contrario dotata di una propria autonomia funzionale, oltre che di un autonomo valore di mercato (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, IV, 14.11.2016, n. 5248; Cons. Stato, III, 26.4.2016, n. 1613; T.A.R. Lazio, Roma, I, 2.4.2015, n. 4975; Cons. Stato, sez. VI, 31.3.2014, n. 1512).

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TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 4 settembre 2019 n. 1944

Le dichiarazioni sostitutive di notorietà non sono utilizzabili per provare il momento di realizzazione dell’abuso edilizio nel processo amministrativo e non rivestano alcun effettivo valore probatorio

Circa il regime dell’onere della prova relativamente all’ultimazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per accedere al condono edilizio, la giurisprudenza è consolidata nel senso che incombe sul privato l’onere di provare che l’opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio in quanto, mentre l’Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 2019 n. 4424).

In merito alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà occorre rammentare che un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili per provare il momento di realizzazione dell’abuso nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione – ovvero, le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente – (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 29.05.2014 n. 2782 e 27.05.2010 n. 3378; TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 05.01.2018 n. 17).

E infatti, anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6548).

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TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 5 settembre 2019 n. 1949

La prescrizione del costo di costruzione inizia a decorrere dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori

L’art. 16 comma 3 del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) stabilisce che “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori” (in tal senso TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08/01/2019 n. 32). Ne consegue che la prescrizione del credito derivante dall’obbligo di versare il costo di costruzione inizia a decorrere da quest’ultima data.

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 5 settembre 2019 n. 10753

Serve il permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso da locali tecnici/servizi a residenziale

Il cambio di destinazione d’uso da locali tecnici/servizi a residenziale richiede il permesso di costruire; il relativo abuso è da rimuovere, in applicazione dell’art. 31 del D.P.R n.380 del 2001, tramite ordinanza, quale misura di carattere oggettivo e ripristinatorio, con onere di esecuzione incombente sui proprietari, quali soggetti che dispongono materialmente del bene e dunque del potere in concreto di ripristinare lo stato preesistente (cfr. TAR Lazio, II quater, n. 9074 del 2018).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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