Come è noto, l’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), prevede che, “nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non siano disponibili la copia o gli estremi”, lo stato legittimo è quello desumibile “dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
Si tratta di una previsione che valorizza gli indizi disponibili, dalla formulazione testuale “aperta” e non tassativa, anche per l’uso della locuzione generica “altri documenti probanti” e per il richiamo ad altri atti, pubblici o privati, purché di provenienza certa [1].
La successione, nel testo del secondo periodo del comma 1-bis, delle diverse tipologie di documenti “sussidiari”, implica una “gerarchia” dell’utilità probatoria ricollegabile a ciascuna tipologia [2], ragion per cui il ricorso agli altri atti pubblici o privati costituisce in qualche modo l’extrema ratio, cui si deve accedere in mancanza di altre, più significative, tipologie di documenti, fermo restando che tutte le tipologie possono concorrere, se disponibili, alla formazione della prova dello stato legittimo dell’immobile, nel senso che la disponibilità, ad esempio, di riprese fotografiche e di estratti cartografici non preclude, né rende superflua, la presentazione anche di documenti di archivio e altri atti pubblici o privati.
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IL TESTO È AGGIORNATO CON LA RECENTISSIMA GIURISPRUDENZA DOPO IL SALVA CASA LE LINEE DI INDIRIZZO E CRITERI INTERPRETATIVI Il concetto di stato legittimo degli immobili è un pilastro della disciplina urbanistico-edilizia, ma le sue implicazioni normative hanno spesso sollevato dubbi interpretativi e difficoltà applicative. Con la recente legge 105/2024, nota come Salva Casa, il quadro normativo ha subito rilevanti modifiche volte a semplificare la verifica della legittimità edilizia, ma che al contempo necessitano di una chiara lettura per evitare fraintendimenti e incertezze.Grazie al rigore tecnico e all’approccio pratico, “Lo Stato Legittimo degli Immobili dopo il Salva Casa” si configura come una guida operativa di riferimento, fondamentale per la corretta interpretazione e applicazione delle nuove norme. L’opera si rivolge agli ingegneri, architetti, geometri e avvocati che operano nel settore edilizio e urbanistico, ai funzionari e amministratori delle PP.AA: chiamati a gestire il riconoscimento dello stato legittimo degli immobili e a chiunque voglia comprendere il nuovo assetto normativo e prevenire errori e contestazioni in materia di conformità edilizia.Tra i contenuti dell’eBook si segnalano in particolare.- Quadro normativo e giurisprudenziale aggiornato: un’analisi dettagliata delle norme in vigore, dalle prime regolamentazioni urbanistiche fino alle recenti modifiche introdotte dal Salva Casa.- Tre casistiche fondamentali: immobili realizzati con titolo abilitativo, immobili edificati in epoca in cui non era richiesto e quelli di cui non siano disponibili gli estremi o la copia del titolo edilizio.- Effetti delle nuove disposizioni: l’impatto delle fiscalizzazioni sugli abusi edilizi, il riconoscimento delle tolleranze costruttive e il consolidamento giuridico dei titoli edilizi.- Stato legittimo nelle unità immobiliari e parti comuni: una sezione dedicata alle implicazioni per condomini e singole proprietà, utile per tecnici, amministratori e operatori immobiliari. Claudio BelcariGià dirigente comunale, è docente presso Università, ANCI, ordini e collegi professionali per le tematiche tecnico-giuridiche in ambito urbanistico, edilizio e paesaggistico. Autore di libri, pubblicazioni e consulente per primarie amministrazioni locali.
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Casistica giurisprudenziale
Un esempio concreto di principio di prova è stato individuato nella sent. 24 aprile 2025, n. 8031, del TAR Lazio, Roma, sez. II bis, in cui i giudici hanno ritenuto rilevante una planimetria rinvenuta nell’atto di compravendita dell’immobile del 18 luglio 1958, che faceva risalire a tale data lo stato di fatto dell’immobile. Secondo i giudici, “tale situazione di fatto comportava per l’amministrazione l’onere di provare che a tale data fosse necessario il titolo edilizio con riferimento a tale immobile ed alle opere in questione, essendoci un principio di prova della data massima di realizzazione delle opere stesse”.
Un altro caso concreto si è avuto nella sent. 9 settembre 2024, n. 7485, del Consiglio di Stato, sez. II, in cui il principio di prova era una licenza edilizia del 1973, rilasciata al padre del proprietario, sia pur mancante degli elaborati progettuali.
Il TAR Sicilia, Catania, sez. III, nella sent. 15 aprile 2024, n. 1411, ha ritenuto possibile in astratto, quale principio di prova, un’istanza del 4.10.1960 con la quale era stata richiesta l’autorizzazione ad apportare alcune modifiche a progetto di demolizione e ricostruzione relativo all’opera, l’approvazione della Commissione edilizia comunale nella seduta del 7.10.1960, la successiva comunicazione del Sindaco all’istante con nota dell’8.10.1960.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nella sent. 6 giugno 2025, n. 446, ha ritenuto sufficiente una licenza del 1960 per la “demolizione e ricostruzione” di un immobile costruito dopo il 1942, del quale risultava irreperibile il titolo originario.
Un recente caso concreto: lo stato legittimo desumibile da una pratica di condono irreperibile
Di recente, il TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 9 settembre 2025, n. 1439, dinanzi ad un provvedimento dell’ufficio tecnico che aveva respinto una domanda di condono edilizio del 1986 sul rilevo che la pratica di condono è stata dichiarata irreperibile con atto del 2023, perché non rinvenuta nell’archivio cartaceo dell’ente, ha richiamato la norma in discorso per affermare l’illegittimità del rifiuto visto che l’ufficio, nel dichiarare l’irreperibilità della pratica, dava espressamente conto delle seguenti circostanze:
- la pratica, come integrata dall’interessato, era “completa di tutta la documentazione richiesta”;
- l’interessato aveva ricostruito la pratica “in modo preciso e puntuale”;
- la pratica, in base alla ricostruzione effettuata dall’interessato, sarebbe stata prima facie accoglibile;
- la dispersione della pratica potrebbe ben essere dovuta ai “diversi traslochi e/o spostamenti degli archivi comunali” effettuati negli anni.
Secondo i giudici, tenuto pertanto conto della violazione ad opera della P.A. dell’obbligo di custodia degli atti giuridici da essa detenuti e non ricorrendo un comportamento colposo dell’interessato, poteva soccorrere, per analogia, la regola generale dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del D.P.R. n. 380/2001, in tema di stato legittimo del fabbricato, che, in presenza di un principio di prova e qualora la copia ufficiale dell’atto non sia disponibile, consente l’utilizzo di altra documentazione probante.
Il diniego, perciò, è stato annullato, con obbligo dell’ufficio tecnico comunale di ripronunciarsi in conformità al principio enunciato.
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Note
[1] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 2 settembre 2024, n. 4785.
[2] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 2 settembre 2024, n. 4785.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
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