Come noto, la disposizione normativa di cui all’art. 10-bis[1] della legge n. 241/1990 è finalizzata a garantire l’effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento e, qualora tale partecipazione non venga assicurata in modo pieno ed effettivo, risulta viziato il relativo provvedimento amministrativo.
L’introduzione nell’ordinamento, con legge 11 febbraio 2005, n. 15, del preavviso di rigetto ha segnato l’ingresso di una modalità di partecipazione al procedimento, con la quale si è voluta “anticipare” l’esplicitazione delle ragioni del provvedimento sfavorevole alla fase endoprocedimentale, allo scopo di consentire una difesa ancora migliore all’interessato, mirata a rendere possibile il confronto con l’amministrazione sulle ragioni da essa ritenute ostative all’accoglimento della sua istanza, ancor prima della decisione finale[2].
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Il preavviso di rigetto
L’istituto del cosiddetto preavviso di rigetto ha, così, lo scopo di far conoscere alle amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell’istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell’interessato, che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti[3].
La comunicazione prevista dall’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, è finalizzata all’instaurazione di una ulteriore fase di contraddittorio procedimentale, che consente al richiedente di articolare fino ad un momento prima del provvedimento negativo, ulteriori ragioni a sostegno della propria posizione di interesse legittimo e permette, al tempo stesso, una utile rimeditazione della vicenda all’Amministrazione procedente alla quale vengono forniti nuovi elementi di valutazione; l’istituto del c.d. preavviso di diniego, sorto con il chiaro intento di potenziare la dialettica procedimentale in un’ottica di favore per il privato, finisce con l’assicurare che ogni momento del procedimento immediatamente precedente l’adozione del provvedimento sia utile all’Amministrazione per pervenire alla scelta discrezionale migliore[4].
Due recenti sentenze ci offrono lo spunto per indagare l’operatività di tali garanzie partecipative.
Omessa comunicazione di avvio del procedimento
Deve ritenersi illegittimo il provvedimento che dichiara l’inefficacia della SCIA in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione in questione: tale omissione ha precluso al privato la possibilità di rappresentare le proprie osservazioni per il superamento dei motivi alla base del provvedimento negativo: è quanto evidenziato dal T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 16 giugno 2025, n. 1151.
I giudici hanno ricordato che l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, nei procedimenti ad istanza di parte, sancisce il dovere dell’Amministrazione di comunicare i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza (c.d. preavviso di rigetto), prima della formale adozione del provvedimento di reiezione. La comunicazione in questione ha la funzione di garantire un confronto fra l’Amministrazione procedente e la parte istante al momento della conclusione dell’istruttoria ma prima dell’adozione del provvedimento negativo, onde consentire agli interessati di avere un ulteriore contraddittorio e di provare a superare, mediante osservazioni, gli ostacoli frapposti dall’Amministrazione all’accoglimento dell’istanza.
La giurisprudenza più recente interpreta la norma in maniera rigorosa, ritenendo che la partecipazione alla fase decisoria e predecisoria assuma una valenza rispetto al formarsi della decisione amministrativa che ha valore ulteriore e diverso da quella che assume la partecipazione alla fase istruttoria, sicché la mancata previsione del vizio di violazione dell’art. 10-bis tra quelli suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, secondo periodo, non può essere ascritta ad una lacuna, ma ad una scelta legislativa, non emendabile dall’interprete.
Peraltro, alla facoltà del privato di rappresentare le proprie considerazioni sulle ragioni ostative prospettate dall’Amministrazione con il preavviso di rigetto fa da contraltare l’obbligo per quest’ultima di dar conto, nel provvedimento finale, delle ragioni che l’hanno indotta a discostarsi dalle osservazioni di parte, venendo così in rilievo, da un lato, un obbligo di motivazione specifica e rinforzata e, dall’altro, una limitazione dello ius variandi; per quest’ultimo aspetto nella considerazione che l’Amministrazione non potrà, in sede di emanazione del provvedimento finale, addurre nuove ragioni rispetto a quelle già prospettate con il preavviso di rigetto[5].
Per giurisprudenza consolidata, la comunicazione di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 si applica anche nei procedimenti di sanatoria o condono edilizio[6] ed è altresì necessaria per l’ipotesi di presentazione di una SCIA in sanatoria, il cui procedimento si conclude con un provvedimento espresso e non mediante silenzio provvedimentale[7].
Omessa valutazione delle osservazioni presentate dall’interessato
Un’applicazione corretta dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 esige, non solo che l’Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione[8].
È noto che le osservazioni degli istanti in caso di preavviso di rigetto, in generale, non debbano costituire necessariamente oggetto di specifiche e dettagliate confutazioni, ma è evidente che esse debbano essere almeno prese in considerazione e ciò deve risultare dal provvedimento finale, pena la violazione di una basilare garanzia procedimentale riconosciuta dalla legge[9]. Di conseguenza, come affermato dal TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 25 giugno 2025, n. 1196, è illegittimo il comportamento dell’ufficio che, dopo aver ricevuto alcune osservazioni dall’interessato, nel provvedimento finale opponeva i medesimi motivi ostativi del preavviso e si limitava a dichiarare che erano pervenute le osservazioni di cui all’art. 10-bis della Legge n. 241/1990, senza precisare perché le stesse osservazioni non erano state considerate rilevanti ai fini del provvedimento finale.
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Note
[1] Art. 10-bis – Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza
1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione.
[2] Consiglio di Stato, sez. III, sent. 20 giugno 2022, n. 5080; sent. 8 ottobre 2021, n. 6743; sent. 5 dicembre 2019, n. 834; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 2 maggio 2022, n. 966; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, sent. 1° giugno 2020, n. 2093; sent. 23 maggio 2019, n. 2774; T.A.R. Piemonte, sez. I, sent. 2 maggio 2020, n. 253.
[3] T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, sent. 16 gennaio 2023, n. 115; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 6 agosto 2013, n. 4111; sent. 29 luglio 2014, n. 4021.
[4] Arg. ex T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sent. 14 gennaio 2016, n. 87.
[5] T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, sent. 18 dicembre 2020, n. 6255.
[6] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 12 aprile 2023, n. 3672; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 3 novembre 2020, n. 11307 e sent. 4 maggio 2023, n. 7586.
[7] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 20 febbraio 2023, n. 1708; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, sent. 28 novembre 2024, n. 2305; sent. 10 luglio 2024, n. 1454 e sent. 23 novembre 2023, n. 2704.
[8] Consiglio di Stato, sez. I, sent. 25 marzo 2015, n. 80 e sez. VI, sent. 2 maggio 2018, n. 2615.
[9] T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sent. 15 marzo 2021, n. 193.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
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