Riforma del lavoro, gli architetti contro l’obbligo di assunzione

Il Cnappc è contrario alla norma che, nel disegno di legge sulla riforma del lavoro, intenderebbe includere gli iscritti agli Albi tra coloro che dovrebbero essere assunti come dipendenti, nel momento in cui lavorassero per più di sei mesi per il 75% per uno stesso cliente e/o utilizzandone le strutture e le attrezzature. Il Consiglio lo scrive in una lettera al Presidente del Consiglio e ai Ministri della Giustizia,  del Lavoro e dello Sviluppo economico.

L’applicazione della norma creerebbe gravi danni alla categoria professionale, sia in termini di disoccupazione che in termini di marginalizzazione dal mercato.
Di seguito riportiamo il testo integrale della lettera.

“La struttura media degli Studi di architettura italiani è assai piccola (tra due e quattro addetti) e si basa sulla cooperazione tra titolari e collaboratori, in un ambito di ‘bottega’ o, come si dice ora, di team, con un approccio culturalmente assai distante dal rapporto datore di lavoro/dipendente. Proprio  la dimensione ridotta degli Studi sta permettendo alla maggioranza dei 150 mila architetti italiani di reggere alla grave crisi del Paese e del settore, pur tra mille difficoltà e grazie ai comuni sacrifici di titolari e collaboratori.
L’obbligo di assunzione in strutture che hanno volumi  d’affari assai ridotte – uno Studio di architettura con tre addetti ha un volume d’affari medio di 120 mila euro – avrebbe come conseguenza:
– la drastica riduzione dei collaboratori, per poter sostenere i nuovi oneri, con aggravio della disoccupazione soprattutto giovanile;
– la contrazione della dimensione delle strutture con ulteriore difficoltà delle stesse ad essere competitive sul mercato;
– la drastica riduzione dei contributi a Inarcassa, a cui proprio il vostro Governo ha da poco chiesto di dimostrare la sostenibilità delle pensioni a 50 anni, in quanto i dipendenti diverrebbero contributori INPS e lo snaturamento del rapporto interprofessionale, tra titolari degli Studi e collaboratori, con danni all’oggetto della prestazione ed alla qualità complessiva dei progetti sviluppati.

Inoltre la norma contrasterebbe con evidenza con i principi di flessibilità e mobilità tipici delle professioni intellettuali e che ne costituiscono la capacità d’azione sui mercati globali, oltre che di adattamento ad un mercato storicamente altalenante o, come dicono gli esperti, ‘a dente di sega’. Per non dire del fatto che molti architetti sono per periodi lunghi di tempo mono-cliente, con l’assurdo che il committente del progetto dovrebbe assumere l’architetto: ciò non riguarda solo i clienti privati ma anche la Pubblica Amministrazione, laddove stipula contratti di consulenza di liberi professionisti per gli Uffici Tecnici, non potendosi permettere di mantenere una struttura stabile.
La lettera contiene anche alcune proposte del Consiglio Nazionale finalizzate a proteggere gli iscritti agli Albi da abusi da parte di colleghi che possano agire in modo scorretto in qualità di committenti”.
Tra queste, prosegue la lettera, quella di “garantire, all’interno dei Codici Deontologici, il rispetto di regole etiche e tipizzazioni contrattuali nel rapporto tra titolare dello Studio e collaboratore, laddove iscritti agli Albi: la futura terzietà dei nuovi Collegi Disciplinari sarà perfettamente in grado di assicurare giudizi equi e sospendere gli iscritti che svolgano nei confronti  dei colleghi pratiche contrattuali vessatorie”.

Un’altra proposta è quella “di semplificare e rendere maggiormente economiche le forme di associazione professionale, così che i collaboratori possano a tutti gli effetti essere agilmente associati agli Studi di Architettura rendendo così formalmente evidente il loro contributo professionale e la loro appartenenza alla struttura”.

E arriviamo alle conclusioni della lettera. Il Cnappc chiede al Governo “di affrontare il tema con piena consapevolezza della complessa e articolata realtà professionale italiana e di rendersi conto che l’effetto finale di una tale norma sarebbe assolutamente risibile sulle grandi strutture professionali pubbliche o private che sono già organizzate con contratti di dipendenza – due quinti dei nostri iscritti sono dipendenti – ma deflagrante sul resto degli architetti italiani che verrebbero ulteriormente marginalizzati e resi meno competitivi sia sul mercato interno che su quello internazionale.
Diamo quindi la nostra completa disponibilità a collaborare per trovare soluzioni che garantiscano gli iscritti più deboli sul mercato del lavoro, senza però trasformare surrettiziamente gli assetti del lavoro autonomo e professionale testè riformato: le libere professioni hanno bisogno di un investimento politico da parte di Governo e Parlamento per farne i protagonisti dello sviluppo e della crescita sostenibile, non di gabbie salariali che ne ucciderebbero la capacità di agire nei tempi e nei modi che la modernità richiede”.

Redazione Tecnica

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