La qualificazione edilizia della piscina quale nuova costruzione: due recenti sentenze

La piscina non può considerarsi una mera pertinenza ma deve essere qualificata come nuova costruzione, necessitante di permesso di costruire.

Mario Petrulli 08/07/24

La piscina non può considerarsi una mera pertinenza ma, in ragione dell’impatto sullo stato dei luoghi e del suo utilizzo potenzialmente autonomo rispetto all’abitazione principale, deve essere qualificata come nuova costruzione necessitante del preventivo rilascio del permesso di costruire: è la sintesi di due recenti sentenze che segnaliamo ai nostri lettori.

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Gli interventi edilizi per opere precarie e gli arredi da esterni

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Mario Petrulli | Maggioli Editore 2024

La piscina non è classificabile come pertinenza in senso urbanistico

Il TAR Lombardia, Milano, sez. IV, nella sent. 27 giugno 2024, n. 1992, ha ritenuto esclusa la natura pertinenziale di una piscina di rilevanti dimensioni (un porzione pari a 10,10 metri per 6,10 metri cui si somma una porzione che misura 1,95 metri per 4,65 metri, con una profondità pari a 1,20 m.), con struttura in acciaio zincato imbullonato rivestito con pannello in cartongesso che sporge dalla quota del terreno per 0,65 metri) e per l’autonomia funzionale rispetto al fabbricato di proprietà, stante l’utilizzo di un’area diversa e ulteriore rispetto a quella occupata dall’abitazione, da cui era separata da una strada pubblica e dotata di un accesso diretto e indipendente.

Come è noto, la giurisprudenza amministrativa circoscrive la nozione di pertinenza urbanistica fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. La natura pertinenziale “può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l’opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da rendere l’opera priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell’assetto del territorio; sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che, pur avendo proporzione sensibilmente ridotta rispetto all’opera principale, è autonomamente fruibile, presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico, e occupa un’area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità e del tutto accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa[1].

È stato, in particolare, osservato che “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire[2].

La piscina quale nuova costruzione

Similmente, la non riconducibilità della piscina al novero delle opere pertinenziali è stata ribadita dal Consiglio di Stato, sez. II, nella sent. 21 giugno 2024, n. 5538[3], che ha confermato che il concetto di pertinenza in senso urbanistico-edilizio è completamente diverso da quello civilistico e la piscina, astrattamente considerata, non può considerarsi tale, essendo una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata; detto manufatto, perciò, configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) e non una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale.

I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano funzionale, non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non costituisce sempre una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini.

Inoltre, alla qualificazione della piscina come pertinenza osta pure la considerazione che la stessa comporta una durevole trasformazione del territorio e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell’edificio cui accede; ragione per la quale non vi è coincidenza con la relativa nozione civilistica.

Al riguardo può richiamarsi la giurisprudenza[4] sulla nozione di pertinenza urbanistica secondo cui tale nozione è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia; viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Concetti, questi ultimi, che ben paiono attagliarsi al caso specifico oggetto della sentenza di Palazzo Spada, in cui vi era una piscina di mt. 6,60 x 12,60, con circostante area pavimentata in gres di mt. 13,70 x 15,00.

Se la piscina è una nuova costruzione, ne consegue la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire, con necessario rispetto delle previsioni urbanistiche e di tutela paesaggistica. Nel caso specifico, ad esempio, tale rispetto non era possibile da riscontrare, visto che:

  • la zona era classificata come “E1” agricola – periurbana, che il P.U.C. aveva destinato ad usi agricoli, nella quale erano consentiti solo la costruzione di manufatti e fabbricati per l’agricoltura ed interventi di recupero e riutilizzo del patrimonio edilizio esistente;
  • le NTA consentivano solo il mantenimento e il potenziamento delle attività produttive connesse con l’agricoltura;
  • vi era un precedente atto di asservimento, ai sensi del quale il fondo relativo al fabbricato sarebbe stato impegnato unicamente a verde.

Tra la casistica giurisprudenziale, ricordiamo che la qualità di nuova costruzione è stata riconosciuta nei seguenti casi:

  • piscina interrata di 6 metri per 12 metri, con profondità massima di 2 metri[5];
    piscina privata, scoperta e a scopo ricreativo, in parte interrata (circa mt. 1,00) ed in parte fuori terra (circa mt. 0,50) delle dimensioni di mq. 25.20 (mt. 5,60 X 4,50) e un’altezza costante pari a mt. 1,35[6];
  • piscina interrata avente una superfice totale di circa 62,50 mq.[7];
  • piscina delle dimensioni di mt 11,00×6,40x H. max 2,32[8];
    una piscina di 120 mq[9].

Note

[1] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 14 marzo 2023, n. 2629; sez. II, sent. 11 novembre 2019, n. 7689; sez. VI, sent. 7 marzo 2022, n. 1605 e sent. 9 giugno 2023, n. 5680.
[2] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 9 settembre 2020, n. 3730; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 21 novembre 2023, n. 9955; TAR Piemonte, sez. II, sent. 5 aprile 2023, n. 315; sent. 7 ottobre 2022, n. 826; sent. 2 agosto 2022, n. 703; TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 21 giugno 2022, n. 8325.
[3] Cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. VII, sent. 2 gennaio 2024, n. 44.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 7 gennaio 2020, n. 100; sent. 29 novembre 2019, n. 8192; sent. 4 gennaio 2016, n. 19 e sen. 24 luglio 2014, n. 3952; sez. V, sent. 12 febbraio 2013, n. 817.
[5] TAR Marche, sez. I, sent. 21 luglio 2023, n. 487.
[6] TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 18 gennaio 2022, n. 76.
[7] TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 26 maggio 2022, n. 845.
[8] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 21 dicembre 2020, n. 6324.
[9] TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 31 agosto 2023, n. 13496.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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