Perché abbiamo paura della parola condono edilizio?

L’abusivismo edilizio, nell’immaginario collettivo, è legato a veri e propri insediamenti totalmente abusivi che hanno deturpato intere aree. Ma evitando ogni forma di pensiero preventivo su questa particolare e speciale procedura edilizia potremmo vederne anche i lati positivi, ecco perchè

Marco Campagna 02/10/23
La domanda che è il titolo di questo post vuole più che altro suscitare nel lettore una valutazione anche auto-critica su quello che è il reale stato dell’edilizia italiana, evitando se possibile ogni forma di pensiero preventivo su questa particolare e speciale procedura edilizia che come molte cose ha lati positivi e lati negativi ma, essendo un qualcosa che incide sulla sensibilità collettiva, viene anche utilizzato per fare propaganda.

Vorrei dare una visione di questo strumento edilizio straordinario per quello che è: una procedura speciale che consente di sanare situazioni particolari, e riflettere sulla sua utilità al giorno d’oggi, viste anche le recenti esternazioni pubbliche di esponenti importanti dell’attuale Governo.

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Condono edilizio: partiamo dall’inizio

In Italia la legislazione urbanistica, ovvero l’insieme di norme che regolamentano l’attività di realizzazione di nuovi quartieri e nuovi edifici, da quando è nata è sempre stata molto rigida, in quanto uscire fuori dai paletti di un progetto edilizio e più che mai edificare senza aver acquisito preventivamente una autorizzazione equivale a commettere un abuso edilizio. L’abuso si crea sia se la licenza manca del tutto, sia se l’edificio è totalmente o parzialmente difforme dal progetto. Da ciò deriva il fatto che solo gli edifici perfettamente identici ai loro progetti possono oggi essere considerati legittimi, salvo un discreto margine di tolleranza su cui in questo scritto non ci si soffermerà per questioni di spazio.

Per tutta una serie di motivi, noti e meno noti, molto spesso, e molto più spesso di quanto si possa pensare, gli edifici esistenti ad oggi effettivamente hanno problemi di legittimità edilizia: più tipici sono i casi di difformità dal progetto, che vanno da “semplici” diverse configurazioni delle facciate (aperture delle finestre spostate, balconi spostati o presenti nell’edificio ma non presenti nel progetto) fino a differenti sagome con vere e proprie porzioni di edificio realizzate in più che non dovrebbero esserci. Non sono comunque rari anche i casi in cui interi edifici condominiali risultano privi del titolo edilizio pur essendo stati apparentemente in modo legittimo venduti dall’originario costruttore ad ignari cittadini.

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L’abusivismo nell’immaginario collettivo

Fin qui abbiamo descritto possibili casistiche di non conformità di immobili condominiali costruiti da originarie società costruttrici e poi venduti a singoli proprietari, ma l’abusivismo edilizio, nell’immaginario collettivo, è forse più legato a veri e propri insediamenti totalmente abusivi che hanno deturpato intere aree talvolta anche con spiccati elementi di pregio storico-ambientale; parliamo di porzioni di città che la pianificazione urbanistica non aveva proprio previsto e che quindi si inserisce nel delicato assetto delle città in modo prepotente e violento, con l’ulteriore danno relativo al fatto che, una volta regolarizzati questi assetti abusivi, i proprietari pretendono poi che le zone vengano fornite dei servizi essenziali pubblici a cui il privato che edifica in modo abusivo naturalmente non pensa minimamente (da qui l’illogicità completa dell’abusivismo edilizio condonato: non solo si tollera che vengano scempiate zone delicate senza alcuna regola, ma ci si mette poi nella condizione di dover anche investire risorse pubbliche per rendere abitabili dal punto di vista dei servizi quelle zone).

Anche qui, i motivi che portano le persone ad eseguire abusi di questa portata sono noti e meno noti, ma è legittimo chiedersi se questi fenomeni di abusivismo, che nel passato sono anche stati conformati alla norma con interventi urbanistici radicali (talvolta anche demolitivi, va detto), possano derivare anche dalla complessità del rilascio dei permessi “ordinari” per la costruzione di nuovi edifici: più è complesso realizzare un nuovo impianto urbanistico, più ci vorrà tempo per farlo, più l’esigenza abitativa preme per realizzare nuovi alloggi. Non è un caso che la maggior parte degli insediamenti abusivi nel nostro paese sono stati realizzati durante l’era del boom economico e demografico legato al secondo dopoguerra.

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La differenza tra condono edilizio e sanatoria “ordinaria”

In questo scenario, ad un certo punto il legislatore ha capito che combattere l’abusivismo a suon di ruspe avrebbe risolto solo in minima parte il problema, ed ecco nato il condono edilizio: il primo fu istituito attraverso la L. 47/85 a cui poi ne seguirono altri due, nel 1993 e nel 2003. I condoni consentivano di sanare tutte le casistiche di abusi brevemente tratteggiate prima: ovvero sia difformità piccole e meno piccole realizzate dal costruttore in fase esecutiva di un edificio, sia l’immobile, anche la baracca, totalmente abusiva. Nei condoni successivi al primo furono però imposti dei paletti dimensionali agli interventi di ampliamento e nuova costruzione, perché già si iniziava a sentire la necessità di evitare che attraverso il condono si potessero sanare interi nuovi insediamenti.

Tuttavia, per una serie infinita di motivi, oggi ancora molti immobili avrebbero bisogno di un condono anche se le difformità e gli abusi risalgono a prima della pubblicazione delle leggi che hanno gestito i tre condoni: questi motivi sono spesso legati alla inconsapevolezza della presenza di questi abusi. Se è facile dedurre che una baracca in un campo ha un discreto rischio di essere priva di titolo, più sfumato e complesso è comprendere che un balcone spostato su una facciata di un immobile la cui volumetria è legittima rappresenta anche questo un abuso. Si può facilmente ribattere che per sanare un balcone spostato non è necessario un condono ma si può procedere con un accertamento di conformità (attuali articoli 36 e 37 DPR 380/01), ovvero la sanatoria “ordinaria” che consente di ottenere un titolo edilizio a posteriori per opere che rispettano le norme edilizie in vigore sia al momento della realizzazione dell’abuso e sia al momento del deposito della domanda: e qui sta la vera grande differenza tra condono edilizio e sanatoria “ordinaria”.

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Il condono consente di sanare interventi che NON sono conformi né alla norma vigente ne a quella che era vigente al momento della costruzione, o almeno consente di non doversi preoccupare della verifica della effettiva fattibilità dell’intervento all’epoca ed oggi: questa differenza è cruciale perché se parliamo di abusi riscontrati su palazzine degli anni cinquanta e sessanta, le differenze nella normativa e nei regolamenti nell’arco degli anni è totalmente cambiata, quindi è molto probabile che un intervento che magari era anche fattibile all’epoca della sua realizzazione, ad oggi non sia più autorizzabile e quindi ne è preclusa la sanatoria “ordinaria”.

Si pensi agli edifici costruiti prima del DM 1444/68 che per primo ha imposto il concetto di cubatura edificabile: prima di questo strumento urbanistico i volumi degli edifici erano determinati da distacchi, altezze massime, percentuali di copertura dei lotti, allineamenti: ovvero, non c’era una regola che imponeva un numero massimo di metri quadri realizzabili al di sopra di un dato lotto. Negli anni cinquanta quindi era possibile realizzare edifici con volumetrie differenti di quelle che sarebbero realizzabili ad oggi, per non parlare poi delle zone urbanizzate nel passato e che, ad oggi, sono “vincolate” dagli strumenti urbanistici in quanto considerate ormai città storiche che non possono più essere oggetto di trasformazioni importanti. Se un costruttore eseguiva delle varianti ad un edificio e queste varianti erano autorizzabili all’epoca, ma ci si “dimenticava” di presentare il titolo edilizio denominato appunto “in variante”, le opere eseguite in difformità non possono essere considerate legittime e quindi ad oggi diventano abusi non sanabili, per via della norma che nel frattempo è modificata.

Dunque nei fatti esistono difformità edilizie che affliggono tanti immobili, ad oggi non sanabili o, se sanabili, lo sono con procedure complesse, e che per semplice inconsapevolezza dei proprietari non sono state al tempo oggetto dei condoni che avrebbero potuto legittimare gli abusi.

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È utile pubblicare una nuova legge sul condono?

Oggi che la sensibilità verso la legittimità urbanistica è notevolmente aumentata rispetto al passato (si pensi anche all’effetto del 110% che ha messo molti condomini di fronte a delle difformità prima non conosciute, ma anche al susseguirsi di sentenze che vanno sempre più nella direzione di stringere il cerchio attorno allo stato legittimo) questi abusi stanno spuntando come i funghi pur essendo sempre stati insiti nell’unità immobiliare, e molte persone si stanno scontrando con il fatto di avere proprietà non vendibili, o vendibili con difficoltà, pur non avendo alcuna colpa.

Da qui dovrebbe nascere un dibattito che si auspica possa essere fatto con la dovuta serenità, senza preconcetti: è utile ad oggi pubblicare una nuova legge sul condono? La risposta che può dare un tecnico come me è “Sì”, a patto che sia una legge molto attenta e circostanziata esclusivamente alla gestione di quelle non conformità che afferiscono edifici esistenti e che hanno una loro originaria legittimità, poi nel tempo non rispettata. Sarebbe quindi da escludere ogni possibilità di sanare edifici realizzati in modo completamente abusivo (con eccezione magari di edifici estremamente risalenti, ubicati in zone urbanizzate delle città e in quartieri costruiti in forza di un piano regolatore, e la cui esistenza è testimoniata da documentazione valida che ne attesti la costruzione ad epoche almeno remote) soprattutto se al di fuori o in completa difformità dalla pianificazione urbanistica.

Sarebbe altresì utile che non sia una norma una tantum, come i precedenti condoni, ma una legge strutturata che consente di gestire le difformità la cui esecuzione è dimostrabile essere avvenuta prima di una determinata data. Un condono mirato sulle non conformità di edifici esistenti è di fatto indolore nei riguardi dell’assetto urbanistico consolidato delle città e dei quartieri, ma consentirebbe di portare in conformità tante piccole situazioni che ad oggi sono di fatto non sanabili, togliendo quindi gli ignari proprietari da un pericoloso limbo dal quale ad oggi si può uscire solo con opere di “ripristino”, ovvero interventi demolitivi e ricostruttivi per riportare le consistenze edilizie all’esatto stato dell’originario progetto: intervento peraltro non semplice perché non espressamente inquadrato nella normativa vigente.

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Condono edilizio: alcune proposte utili

Se si consente al sottoscritto di dare qualche contributo ad una possibile futura norma in tal senso, mi sento di dire quanto segue:

  • la norma dovrebbe prevedere di poter intervenire in sanatoria solo su situazioni edilizie consolidate e dimostrabili come avvenute prima di una determinata data, non troppo vicina nel tempo ma neanche troppo lontana (ad esempio l’entrata in vigore del DPR 380/01 sarebbe il 30 giugno 2003);
  • si dovrebbe poter intervenire solo sugli edifici esistenti, cioè legittimati all’origine da un titolo edilizio che deve essere ancora presente o di cui devono esserci chiari riferimenti;
  • in caso di difformità di ampliamento, devono esserci dei limiti dimensionali oltre i quali non è possibile comunque la sanatoria, ma si potrebbe comunque prevedere la possibilità di autorizzare anche opere che siano in parte di sanatoria ed in parte di ripristino (ad esempio un abuso che eccede i limiti di volumetria, si dovrebbe poter consentire di sanare il sanabile fino al limite consentito e con la stessa pratica demolire ciò che non può essere sanato: attualmente la norma non prevede questa fattispecie di intervento);
  • dovrebbe essere una norma strutturale e non “una tantum”;
  • le sanzioni ed oblazioni previste dovranno essere adeguate al valore reale degli immobili e si suggerisce debbano essere anche di importi sostanziosi;
  • la norma avrebbe senso se studiata già assieme alle regioni ma che si eviti che ciascuna regione possa emanare delle norme interpretative specifiche, o almeno che debba farlo entro specifici limiti, tipo regolamentare le sanzioni, escludere ulteriori opere, ma non modificare le procedure generali.

La norma come già detto dovrebbe escludere del tutto di poter sanare le nuove costruzioni isolate, forse con l’unica eccezione delle palazzine condominiali edificate in epoche remote (ante 1967?) in zone che già all’epoca risultavano urbanizzate o pianificate per l’urbanizzazione. Una attenzione di riguardo dovrà essere posta nei casi di difformità su immobili oggetto di vincolo, con procedure e limitazioni specifiche ma, al di sopra di ogni cosa, sarà necessario prevedere una attenta analisi strutturale per garantire che tutto ciò che viene sanato sia in sicurezza o che vengano previsti i relativi provvedimenti edilizi per rinforzare le strutture oggetto di sanatoria.

Il presente post non ha alcun intento provocatorio ma si vuole solo dare il contributo di un umile tecnico che ha esperienza in materia ad un dibattito che rischia di deviare gli animi; se qualcuno si dovesse sentire irritato da quanto sopra scritto, non è nelle intenzioni dell’autore suscitare tale sentimento.

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Foto:iStock.com/mikulas1

Marco Campagna

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