Il Recupero delle terre e rocce da scavo

Roberto Pizzi 17/02/12

La più usuale e consolidata filiera di gestione delle terre e rocce da scavo (TRS) è quella connessa alla loro qualifica come rifiuti e alle conseguenti attività di smaltimento e recupero. Posto che sull’attività di smaltimento la normativa non è sostanzialmente mutata di recente in termini di procedure e metodologie, in questa sede si intende focalizzare l’attenzione su ciò che concerne il recupero.

 

Preliminarmente, si rammenta che il 7 luglio 2008 è entrato in vigore il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117, recante “Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE.”. L’articolo 10, comma 3, stabilisce che “Il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, relativo alle discariche di rifiuti”.

 

La genericità di tale comma, in assenza di ulteriori approfondimenti normativi, è interpretata dalla maggior parte degli enti locali come l’impossibilità di riqualificare siti di cava mediante attività di recupero con materiali che abbiano al momento del conferimento la condizione giuridica di rifiuto. Tale norma contrasta palesemente con quanto disposto dal d.m. 5 febbraio 1998 concernente “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”, dove i recuperi ambientali R10 con l’uso di TRS (CER 170504) sono espressamente trattati al punto 7.31-bis dell’allegato 1.

 

Secondo i sostenitori dell’interpretazione anzi esposta, al momento del conferimento in cava, le terre e rocce da scavo oggetto di procedura di recupero R10 si trovano ancora in condizioni giuridiche di rifiuto, poiché la cessazione dalla qualifica di rifiuto ed il conseguente passaggio a “materie prime secondarie”[1] (MPS) avverrebbe solo a conferimento avvenuto. Ne consegue che, proprio poiché all’atto del conferimento le TRS hanno ancora la qualifca di rifiuto, le cave, dismesse o attive, devono essere state attrezzate e autorizzate come discariche ai sensi del D. Lgs. 36/2003.

 

Questa interpretazione di fatto impedisce o, quanto meno, limita pesantemente le attività, quantitativamente rilevanti in termini di materiale gestito, connesse al recupero ambientale R10.

 

Tale orientamento è stato anche adottato dal T.A.R. Veneto – sezione III nella sentenza n. 3810 del 23 dicembre 2009, sul ricorso proposto da un privato contro la Pubblica Amministrazione. Il privato aveva preso in affitto una cava di roccia calcarea abbandonata da circa 25 anni al fine di procedere al recupero ambientale della stessa, conformemente a quanto previsto dall’art. 5 del d.m. 5 febbraio 1998. Dopo avere chiesto e ottenuto dal Comune un permesso di costruire per recupero ambientale, ha domandato alla Provincia l’iscrizione al registro delle imprese che effettuano il recupero di rifiuti non pericolosi in regime semplificato, intendendo eseguire il recupero ambientale mediante il riempimento della cava dismessa principalmente con fanghi disidratati e cocciame (CER 010408, 010410, 010413) derivanti dai processi di lavorazione del marmo, del granito e delle pietre naturali, nonché con terre e rocce da scavo.

 

La Provincia ha domandato alla Regione un parere sulla interpretazione da dare all’articolo 10, comma 3, del d.lgs. 117/2008, informando successivamente il privato che avrebbe osservato un’interpretazione letterale del citato articolo, negando la possibilità di eseguire il recupero ambientale. Il privato ha eccepito che l’articolo 10, comma 3, si applicherebbe solo alle cave in esercizio al momento della entrata in vigore del d.lgs. 117/2008 e non anche a quelle che, come nel caso di specie, sono dismesse da tempo. La Regione ha espresso l’avviso che il sito in argomento, il quale costituisce ex sedime di cava e rientra nella categoria delle “cave abbandonate e dismesse”, soggiace alla disciplina di cui al citato articolo 10. Pertanto, la Provincia ha rigettato in via definitiva la richiesta.

 

Il T.A.R. Veneto ha respinto il ricorso proposto contro il provvedimento della Provincia con la motivazione che l’articolo 10 “non sembra distinguere in alcun modo, nemmeno nel comma 3, tra cave in esercizio e cave dismesse o abbandonate, tra vuoti e volumetrie (pre)esistenti e vuoti e volumetrie conseguenti ad una attività di cava in esercizio. L’unica distinzione presente nell’art. 10 è quella tra rifiuti di estrazione e rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione. La norma che assoggetta il riempimento alle disposizioni del decreto n. 36 del 2003 sulle discariche di rifiuti si applica perciò ai vuoti di cava relativi sia alle cave in esercizio, sia alle cave dismesse o abbandonate”.

 

Leggi la seconda parte dell’articolo Recupero delle terre e rocce da scavo


[1] In realtà, il TUA vigente non prevede più la definizione di materie prime secondarie, espunta dalle recenti modifiche legislative. Nondimeno, tale espressione compare ancora in diversi testi normativi discendenti e continua peraltro ad essere adoperata correntemente, ragione per cui è adoperata anche in questo contesto.

Roberto Pizzi

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