Frazionamento immobile e oneri concessori: quando sono dovuti?

Mario Petrulli 11/11/24

La recente sentenza 26 ottobre 2024, n. 816, del TAR Marche, sez. I ci offre lo spunto per approfondire il rapporto fra divisione/frazionamento di un immobile e debenza degli oneri. Nello specifico, i giudici marchigiani hanno affermato che sono dovuti gli oneri nel caso di divisione o frazionamento di un’unità immobiliare in due o più unità.

Il caso concreto sottoposto all’attenzione del TAR riguardava un permesso di costruire rilasciato per il frazionamento e la regolarizzazione d’uso di un’unità immobiliare commerciale, per il quale l’interessato contestava la debenza degli oneri concessori. Analizziamolo.

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Oneri concessori e frazionamento immobiliare: il caso concreto

Si trattava, in particolare, di un fabbricato caratterizzato da un’unica unità immobiliare sita al piano terra e da un locale con destinazione industriale posto al primo e secondo piano, oltre ad un alloggio per il custode posto al piano secondo. Veniva evidenziato che l’immobile, al piano terra, era già destinato ad uso commerciale anche se l’originario permesso di costruire del 1973 prevedeva la destinazione industriale, successivamente, però, mutata in commerciale (ed infatti, l’immobile ricadeva in zona “D” del PRG con destinazione commerciale e dal 1988 i locali in rilievo sarebbero stati sempre locati ad uso commerciale).

Con l’istanza di permesso a costruire, si mirava al frazionamento del locale commerciale posto al piano terra in due distinte unità, la prima di 875,06 mq, con locale retrostante ad uso deposito di 1.299,96 mq, quindi per complessivi 2.175,02 mq (6.525,06 mc); la seconda unità di 623,37 mq con locale retrostante ad uso deposito di 883,05 mq, per complessivi 1.506,42 mc.

La società proprietaria, in sintesi, sosteneva che non vi era stato alcun cambio di destinazione d’uso e che il frazionamento non aveva richiesto opere edilizie significative; pertanto, non vi era motivo di richiedere gli oneri o, per lo meno, tale richiesta doveva limitarsi alla parte effettivamente interessata al frazionamento e non a tutta l’area, come invece sostenuto dal Comune.

La correlazione fra oneri e carico urbanistici

Già in passato, la giurisprudenza[1] aveva avuto modo di chiarire il generale principio di correlazione fra gli oneri e il carico urbanistico, con la conseguenza che la ristrutturazione edilizia comporta l’obbligo di corresponsione degli oneri allorché sussista tale carico, che va riscontrato anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità, con distinti e autonomi ingressi e servizi.

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio – con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato – ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico «socio-economico » che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari[2].

Posto che, per gli interventi su un fabbricato già munito di titolo edilizio (per ristrutturazione o per mutamento di destinazione d’uso) il presupposto dell’imposizione sia costituito proprio dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico, deve considerare illegittima la richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifichi la variazione del carico urbanistico[3].

In un caso concreto, ancorché risalente, è stato affermato che la “suddivisione dell’unico locale di vendita in due parti”con “erezione di tramezze e la modificazione degli ingressi”, “di per sé ha comportato un aumento del carico urbanistico imposto all’area”, con conseguente inquadramento nella categoria edilizia della ristrutturazione e necessità dell’oneroso titolo edilizio[4]. Più recentemente, è stato affermato che l’intervento edilizio che prevede la realizzazione di sei distinte unità immobiliari, autonomamente utilizzabili, in luogo delle quattro preesistenti, porta a un maggior carico urbanistico in relazione alla aumentata potenzialità di insediamento nell’immobile, con conseguente obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione[5]; parimenti, il maggior carico urbanistico, comportante il pagamento degli oneri, è stato affermato dinanzi al frazionamento di un capannone avente destinazione commerciale-magazzino, in due unità immobiliari[6].

Calcolo oneri concessori: adeguamento al nuovo carico

Il carico urbanistico derivante dal frazionamento non può ritenersi commisurato all’intera area, pena la duplicazione del precedente carico in essere e legato all’esistente locale commerciale oggetto di frazionamento. Può, nella specie, farsi applicazione del principio generale del “conguaglio del contributo concessorio”, ricavabile anche dalle disposizioni dell’art. 10, ultimo comma, L. 10/1977 e dell’art. 19, comma 3, del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), per cui l’importo degli oneri deve essere calcolato con riferimento alla differenza tra quanto previsto per la nuova destinazione e quanto relativo alla precedente[7].

Note

[1] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 29 aprile 2004, n. 2611.
[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 maggio 2012, n. 2838; sent. 29 aprile 2004, n. 2611; TAR Liguria, sez. I, sent. 28 aprile 2014, n. 647; TAR Toscana, sez. III, sent. 10 luglio 2013, n. 1084; TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 22 dicembre 2020, n. 13913.
[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 29 ottobre 2015, n. 4950; sent. 29 aprile 2004, n. 2611; sez. V, sent. 13 maggio 2014, n. 2437.
[4] TAR Piemonte, sez. I, sent. 26 novembre 2003, n. 1675.
[5] TAR Piemonte, sez. II, sent. 27 aprile 2021, n. 446.
[6] TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 22 dicembre 2020, n. 13913.
[7] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 15 giugno 2020, n. 3858; sez. IV, sent. 30 settembre 2019, n. 6544; sez. V, sent. 7 dicembre 2010, n. 8620; sez. VI, sent. 25 agosto 2009, n. 5059.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

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