Esonero oneri concessori: quando è possibile? Due recenti sentenze

Il contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) che grava su chi intraprende un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Possibile l’esonero?

Mario Petrulli 29/04/24
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Il contributo di costruzione – previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione – gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria “rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio[1].

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Indice

Contributo di costruzione: principio generale

Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore[2].
 
Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001[3], e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 della Costituzione[4].

La giurisprudenza ha affermato che, “attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore[5]. Ciò risponde pienamente al principio di cui al richiamato l’art. 23 della Costituzione, secondo il quale “nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, cui consegue una rigidità delle previsioni legislative assolutamente non derogabile in sede interpretativa[6].

Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore[7]. Due recenti pronunce ci offrono lo spunto per indagare altrettanti casi concreti sottoposti all’attenzione dei giudici.

Impianto di trattamento e gestione dei rifiuti

La prima sentenza che segnaliamo è la n. 1087 del 15 aprile 2024 del TAR Lombardia, Milano, sez. IV.
Una società aveva ottenuto il permesso di costruire per la realizzazione di un impianto di trattamento e gestione dei rifiuti e richiesto l’esonero degli oneri ex art. 17, comma 3, lett. c), del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), secondo cui il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.

Il Comune negava l’esonero, in quanto l’opera era realizzata e gestita direttamente da un privato e non per conto della P.A. e per mere finalità di lucro. I giudici hanno ritenuto inapplicabile, nel caso specifico, l’esonero invocato. In relazione alla norma citata la consolidata giurisprudenza ha posto l’accento sulla necessità di verificare, per ammettere l’esenzione dal pagamento del contributo, la sussistenza sia del requisito oggettivo che soggettivo: il primo ricorre allorquando si realizzano opere pubbliche o di interesse generale, mentre il secondo si configura laddove sia un ente pubblico a costruire l’opera.

Nondimeno si è ritenuto possibile riconoscere l’esenzione anche alle opere di interesse generale realizzate da privati; tuttavia, detta esenzione spetta soltanto se lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato, ovvero solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’Amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega[8].

Nel caso de quo era pacifico che l’impianto di trattamento dei rifiuti fosse stato realizzato da un privato per l’esercizio della propria attività imprenditoriale, che solo indirettamente assolveva anche a una finalità di interesse generale; era evidente, quindi, che lo scopo lucrativo perseguito dal privato impediva di considerarlo alla stregua di una longa manus dell’ente pubblico, vista anche l’assenza di un vincolo giuridico idoneo a sancire il necessario legame con l’ente istituzionalmente competente (ad esempio, la presenza di un provvedimento concessorio nel caso di soggetto privato concessionario di opera pubblica), che comprovava, pertanto, la mancanza del requisito soggettivo per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione[9].

Secondo una condivisibile giurisprudenza, l’art. 17, comma 3, lett. c, del D.P.R. n. 380 del 2001 «richiede, infatti, che si tratti di opere realizzate “in attuazione di strumenti urbanistici”, ossia che vi sia una previsione specifica e puntuale di un’opera di urbanizzazione la cui realizzazione sia consentita anche a privati. In altri termini, deve rilevarsi la essenziale distinzione tra la conformità dell’opera alla destinazione di zona, e attuazione di destinazione, e quindi di previsione, specifica di piano»[10].

Intervento su immobile statale

La seconda sentenza che segnaliamo ai lettori è la n. 102 del 10 aprile 2024 del TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, nella quale l’oggetto del contendere era un’ipotesi meno frequente nella prassi, ossia il contributo di costruzione nel caso di interventi su immobili statali: nello specifico, l’art. 17, comma 4, del Testo Unico Edilizia dispone che “Per gli interventi da realizzare su immobili di proprietà dello Stato, nonché per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 6, comma 2, lettera a) (ora il riferimento corretto è all’art. 3, comma 1, lettera b) e all’art. 6-bis – n.d.r.), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile”.

I giudici hanno evidenziato che l’esclusione in esame si giustifica allorché le opere, essendo non commercializzabili, non sono suscettibili di manifestare un aumento di ricchezza rilevante sotto il profilo impositivo di tale onere di natura para-tributaria, come nel caso delle opere di proprietà dello Stato che, al termine della durata della concessione, sono destinate a ricadere nella proprietà dell’Amministrazione concedente.

Nel caso specifico sottoposto all’attenzione dei giudici, si era dinanzi ad una proprietà superficiaria di un privato su area dello Stato che non vietava l’alienazione a terzi del suddetto diritto reale: conseguentemente, non essendo ravvisabile l’incommerciabilità, il citato comma 4 dell’art. 17 non trova applicazione e l’interessato dovrà pagare il contributo di costruzione per intero e non limitato alla quota inerente le opere di urbanizzazione.

Note

[1] Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. 7 dicembre 2016, n. 24; altresì, Ad. Plen., sent. 30 agosto 2018, n. 12; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, sent. 23 luglio 2020, n. 1418 e sent. 15 maggio 2020, n. 828.
[2] Ex multis: Consiglio di Stato, sez. II, sent. 15 giugno 2021, n. 4633 e sent. 9 dicembre 2019, n. 8377; sez. V, sent. 21 novembre 2018, n. 6592.
[3] Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 64 del 10 aprile 2020.
[4] Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. 30 agosto 2018, n. 12; sez. IV, sent. 7 novembre 2017, n. 5133; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 22 gennaio 2024, n. 160.
[5] T.A.R. Veneto, sez. II, sent. 26 novembre 2019, n. 1281; T.A.R. Marche, sez. I, sent. 30 dicembre 2017, n. 954.
[6] Sull’applicabilità del principio alla materia del contributo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 23 dicembre 2019, n. 8703; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 28 novembre 2022, n. 2644; sez. II, sent. 15 maggio 2020, n. 828.
[7] Sulla necessità di una interpretazione restrittiva delle ipotesi di esenzione dal contributo, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 maggio 2023, n. 4907 e sent. 6 aprile 2023, n. 3556.
[8] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 maggio 2023, n. 4907 e sent. 6 aprile 2023, n. 3556.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 maggio 2023, n. 4907; sent. 17 ottobre 2018, n. 5942; sent. 11 febbraio 2016, n. 595; sent. 7 luglio 2014, n. 3421.
[10] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 ottobre 2018, n. 5942; sent. 31 maggio 2023, n. 5375.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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