Domanda di condono e opere successive: due recenti sentenze

La presentazione dell’istanza di condono non autorizza a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta.

Mario Petrulli 03/04/24
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Le recenti sentenze 27 febbraio 2024, n. 1298 e 6 marzo 2024, n. 1500, del TAR Campania, Napoli, sez. III, ci offrono l’occasione per ribadire un principio generale in materia di condono edilizio: successivamente alla presentazione della domanda[1] e prima che quest’ultima sia decisa, il proprietario non può effettuare alcun lavoro di completamento o ampliamento dell’immobile abusivo, valendo il principio in forza del quale è la prosecuzione in sé dei lavori ad essere preclusa, a prescindere dal regime edilizio a tali opere applicabile, anche in termini di trattamento sanzionatorio.
 
Detto altrimenti: la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi[2].

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Indice

L’irrilevanza delle diversa natura delle opere successive

La conseguenza prima di tale principio è che le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell’istanza di condono – ancorché interne o pertinenziali, oppure astrattamente riconducibili alle categorie della manutenzione ordinaria/straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, o della ristrutturazione edilizia – devono dirsi abusive e in prosecuzione dell’indebita attività edilizia pregressa, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’opera principale cui ineriscono strutturalmente.

Le conseguenze dell’esecuzione delle opere successive

La seconda conseguenza, direttamente discendente dalla prima, è che in questi casi scatta l’obbligo dell’amministrazione comunale di ordinarne la demolizione[3] ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001. Inoltre:

  • la realizzazione di opere successive alla richiesta di condono, comporta l’inammissibilità di quest’ultima, questo perché la realizzazione di ulteriori lavori, rende non più identificabile la consistenza dell’opera in essere al momento della richiesta medesima[4];
  • deve considerarsi legittimo il diniego di condonoche poggia validamente sulla difformità dell’immobile rispetto a quello oggetto di condono, denotando il compimento di attività abusiva dopo la presentazione della domanda, tale da stravolgere l’originaria fisionomia del bene e cambiandone la destinazione[5].

È vero, come indicato dai giudici partenopei nella citata sent. n. 1298/2024 che la preventiva presentazione dell’istanza di condono preclude l’adozione dei provvedimenti repressivi.

Ed infatti, ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve arrestarsi a fronte della presentazione di una domanda di condono e restare sospeso fino alla definizione della relativa pratica da parte dell’amministrazione comunale, alla quale il giudice amministrativo non può in ogni caso sostituirsi, nemmeno per una valutazione in via incidentale dell’eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta.

Ciò nondimeno, va precisato che tale effetto interdittivo resta predicabile esclusivamente rispetto alle sole opere abusive dichiarate nella domanda di condono, non potendo evidentemente la suddetta istanza interferire con l’ordinario esercizio del potere repressivo di abusi ulteriori e diversi da quelli per cui risulta chiesta la sanatoria.

Quali interventi sono, comunque, possibili?

Fermo restando le prosecuzioni consentite nel rispetto delle procedure poste dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985[6], secondo la giurisprudenza, non è comunque possibile negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende l’istanza di condono; è stato precisato, infatti, che:

  • sugli immobili oggetto di condono è possibile intervenire con lavori di manutenzione ordinaria finalizzati ad eliminare uno stato di pericolo o di degrado irreversibile[7]; ciò appare logico, in quanto i tempi notoriamente lunghi per evadere le pratiche di condono non consentono di attendere il pieno degrado dell’immobile per poi procedere a opere di manutenzione che potrebbero rivelarsi non più efficaci;
  • non è compatibile con i principi, anche costituzionali, dell’ordinamento la privazione della possibilità, per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, senza alterare l’aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell’edificio, ciò rappresentando certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà che incide addirittura sulla essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e perimento del medesimo. Pertanto, non si può impedire al proprietario di intervenire sul proprio bene, al fine di evitare la progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 238 del 2000; in termini anche Consiglio di Stato, IV, 14 luglio 2015, n. 3505); diventa legittimo, perciò, un intervento finalizzato alla conservazione del bene e all’eliminazione del pericolo[8].

In un caso concreto, è stata ritenuta ammissibile “la posa di “onduline” e sostituzione di grondaia in rame e pluviali che“ben può configurarsi quale manutenzione ordinaria non soggetta al rilascio di titolo edilizio, anche se l’immobile principale è oggetto di richiesta di sanatoria edilizia, visto che è esclusa la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’incremento di quelli oggetto di precedente assentimento (Cons. Stato, Sez. I, par. 8.5.20, n. 875)[9].

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Note

[1] La quale, come è noto, ha un preciso valore confessorio dell’abuso: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 17 agosto 2022 n. 7191; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 10 novembre 2023, n. 2606.
[2] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 31 gennaio 2024, n. 323; sez. I, sent. 13 novembre 2023, n. 2585; Napoli, sez. IV, sent. 28 maggio 2020 n. 2062.
[3] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 31 gennaio 2024, n. 323.
[4] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 6 novembre 2018, n. 6445, richiamando la sent. n. 28 agosto 2014, n. 4612 della medesima sezione.
[5] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 6 novembre 2018, n. 6445.
[6] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 17 ottobre 2022, n. 8804; sez. VII, sent. 19 gennaio 2023, n. 667; TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 28 maggio 2020, n. 2062.
[7] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 6 novembre 2018, n. 6445.
[8] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 22 luglio 2019, n. 1695.
[9] TAR Lazio, Latina, sent. 5 maggio 2023, n. 300.

Mario Petrulli

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