Normativa in materia di distanze e recupero di sottotetti: due recenti sentenze

Due recenti sentenze consentono di chiarire meglio l’operatività delle regole previste dalle norme sulle distanze in edilizia nel caso del recupero dei sottotetti.

Mario Petrulli 10/09/24

La materia del rispetto delle distanze fra edifici è sempre oggetto di interesse pratico e ricorrente nel contenzioso giurisprudenziale; segnaliamo ai lettori due recenti sentenze che consentono di chiarire meglio l’operatività delle regole previste dalle norme nel caso del recupero dei sottotetti.

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Il regime delle distanze in edilizia

Questa nuova (e ottava) edizione conferma e mantiene l’impianto e l’impostazione operativa che ne hanno decretato il grande successo presso i lettori e si caratterizza rispetto alle precedenti versioni per un notevole arricchimento giurisprudenziale e per gli approfondimenti su temi sempre più rilevanti che, inevitabilmente, incidono in maniera significativa sul regime delle distanze (si pensi alla materia delle tolleranze, delle altezze, del Regolamento Edilizio Tipo ecc.). Grande attenzione è stata posta per l’analisi e l’interpretazione delle numerose e importanti novità normative recentemente introdotte nel nostro ordinamento, specie con i “Decreti Semplificazione” ed in particolare con il decreto n. 76/2020 convertito nella legge 120/2020. Anche in conseguenza di ciò si è reso necessario provvedere ad una revisione sistematica del capitolo relativo alle deroghe in materia di distanze. L’eterogeneità degli argomenti non ha impedito di mantenere un fil rouge che li collega tutti sotto l’egida dell’edilizia e del diritto che la regolamenta, per fornire al tecnico e al giurista uno strumento di consultazione agile, completo ed esauriente per tutti gli aspetti relativi al regime delle distanze nelle costruzioni. Romolo Balasso Architetto libero professionista che ha orientato la propria attività professionale nell’ambito tecnicogiuridico. Consulente, formatore e relatore in diversi incontri su tutto il territorio nazionale, è stato promotore e fondatore del centro studi Tecnojus, dove ricopre la carica di presidente, e per il quale cura i contenuti e i servizi oltre al sito web. Pierfrancesco Zen Avvocato del Foro di Padova, appartenente all’Associazione Avvocati Amministrativisti del Veneto e cofondatore del Centro Studi Tecnojus. Autore di diverse pubblicazioni letterarie e giuridiche, quest’ultime specie in materia di Diritto amministrativo e civile.

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Distanze e recupero sottotetti: regola generale

Anche nel caso di recupero del sottotetto devono essere rispettate le prescrizioni in materia di distanza contenute nel D.M. n. 1444/1968: è quanto affermato dal TAR Lombardia, Milano, sez. IV, nella sent. 8 luglio 2024, n. 2087.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti ormai chiarito che:

  • «“laddove vi sia una modifica anche solo dell’altezza dell’edificio (come nel caso di specie) sono ravvisabili gli estremi della nuova costruzione, da considerare tale anche ai fini del computo delle distanze, rispetto agli edifici contigui” e che “la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 cit. è applicabile anche alle sopraelevazioni”, dovendo essere rispettata anche in caso di recupero dei sottotetti (cfr. Cons. Stato, Sez II, 19/10/2021 n. 7029; nello stesso senso, ex multis, Cons. Stato Sez. II, 25/10/2019, n. 7289; 18/05/2021, n. 3883)»[1];
  • «l’intervento, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, è comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici. […] Sussiste la necessità del rispetto delle distanze di 10 mt tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, posto che la deroga prevista dalla norma regionale (art. 64, comma 2, L.R. n. 12/2005) ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale “non può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle dell’art. 41 quinques della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nella parte in cui regolano le distanze tra fabbricati (Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2014, n. 1054)»[2].

Nemmeno esclude l’applicazione delle norme sulle distanze minime la circostanza che l’unità immobiliare oggetto del recupero e quelle antistanti facciano parte dello stesso stabile ricomprendente più abitazioni autonome, essendo le distanze minime prescritte dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 riferibili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, anche se riferite a diverse porzioni di un edificio nel complesso unitario. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che non può escludersi la riferibilità della predetta disposizione all’ipotesi di due corpi di fabbrica facenti parte dello stesso immobile, poiché la finalità igienico-sanitaria della disciplina normativa ne impone l’applicazione anche in simili casi. Invero, poiché l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 è finalizzato a “stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 261.2001 n. 1108), non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti[3].

Le distanze minime, pertanto, trovano applicazione – siccome funzionali alla tutela di interessi generali connessi ai bisogni collettivi di igiene e di sicurezza e non del diritto individuale di proprietà – anche nel caso in cui i due edifici frontistanti appartengano al medesimo proprietario, ovvero nell’ipotesi in cui le pareti finestrate contrapposte appartengano ai due corpi di un’unica costruzione[4].

La conferma del Consiglio di Stato

A conferma di quanto fin qui riportato, segnaliamo quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. II, nella sent. 29 luglio 2024, n. 6804.

Come evidenziato dai giudici di Palazzo Spada, secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità[5], l’art. 9, secondo comma, del citato decreto, essendo stato emanato su delega dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati si impongono e prevalgono anche rispetto a eventuali contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica.

Quei limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, trovano applicazione anche rispetto alle sopraelevazioni integranti nuove costruzioni[6]; nello stesso senso è anche il consolidato indirizzo giurisprudenziale amministrativo[7], secondo cui deve affermarsi l’applicabilità del D.M. 1444/1968 anche in relazione alle modifiche in altezza, in quanto anche la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante.

Sul punto la giurisprudenza ha, di recente, statuito che laddove vi sia una modifica anche solo dell’altezza dell’edificio sono ravvisabili gli estremi della nuova costruzione, da considerare tale anche ai fini del computo delle distanze, rispetto agli edifici contigui e che la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 cit. è applicabile anche alle sopraelevazioni, dovendo essere rispettata anche in caso di recupero dei sottotetti[8].

Detta disposizione è, inoltre, applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro[9], senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti[10]. Conseguentemente, la disposizione va applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento[11].

Note

[1] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 19 novembre 2021, n. 7741.
[2] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 24 dicembre 2019, n. 2743; sent. 23 aprile 2021, n. 1037.
[3] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 8 luglio 2010, n. 2461; Milano, sez. II, sent. 24 dicembre 2019, n. 2743; sez. IV, sent. 30 marzo 2022, n. 714.
[4] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 8 maggio 2013, n. 2483; TAR Firenze, sez. III, sent. 24 marzo 2020, n. 360.
[5] Cfr. Cass., S.U., sent. n. 14953 del 7 luglio 2011.
[6] Cfr., tra le tante, Cass. civile, sez. 2, sent. n. 3739 del 15 febbraio 2018.
[7] Consiglio di Stato, sez. II, sent. n. 7741/2021.
[8] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 19 ottobre 2021, n. 7029; nello stesso senso, ex multis, sent. 25 ottobre 2019, n. 7289; sent. 18 maggio 2021, n. 3883.
[9] Cass., sez. II, sent. 1° ottobre 2019, n. 24471.
[10] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 30 ottobre 2017, n. 4992.
[11] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 settembre 2019, n. 6136.

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