Lo studio registra preoccupanti ritardi nelle attività di prevenzione e informazione ai cittadini e scarsissimi interventi di tutela del territorio. Secondo l’indagine, infatti, nell’85% dei comuni oggetto della rilevazione vi sono abitazioni esposte a rischio frana. E preoccupante anche la situazione degli edifici industriali, che sono in zone critiche nel 56% dei casi.
Altro elemento di allarme è l’eccessiva presenza di cemento a invadere fiumi, ruscelli e fiumare, come pure aree a ridosso di versanti franosi e instabili.
Durante la presentazione del rapporto, avvenuta ieri, il direttore generale di Legambiente, Rossella Muroni ha ribadito come sul fronte del territorio sia assolutamente prioritario e fondamentale dare maggiore efficacia ai vincoli che vietano di costruire nelle aree esposte al pericolo, programmare e realizzare gli abbattimenti dei fabbricati abusivi, delocalizzare dove possibile le strutture a rischio e investire in interventi di qualità per la sicurezza.
Un situazione critica
Ben 1.121 tra i comuni intervistati (l’85%) rilevano la presenza sul proprio territorio di abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in zone a rischio frana; accanto a questi, sono rilevanti le percentuali dei comuni che dicono di avere in zone a rischio fabbricati industriali (56%), interi quartieri (31%), strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali (20%) e strutture ricettive turistiche o commerciali (26%).
A fronte di una situazione di forte pericolo, che si stima riguardi oltre 5 milioni di persone, sono ancora poche le amministrazioni (29% di quelle interpellate) che affermano di essere intervenute in maniera positiva nella mitigazione del rischio idrogeologico. Migliore, invece, appare la situazione nell’organizzazione del sistema locale di protezione civile: l’82% dei comuni intervistati ha dichiarato di avere un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, anche se soltanto la metà lo ha aggiornato negli ultimi due anni.
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