Condominio: quali sono le parti comuni “atipiche”

Davide Galfrè 16/12/16

Il condominio è definito dall’articolo 1117 del Codice Civile come l’insieme delle parti comuni ed indivisibili in capo a tutti i proprietari delle varie porzioni in cui un immobile è suddiviso (questi ultimi sono detti condomini); lo stesso articolo fornisce altresì un elenco di quali siano tali parti:

  • Il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti ed i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune;
  • I locali per la portineria e l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per gli altri simili servizi in comune;
  • Le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso ed al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti, le fognature e scarichi, gli impianti per l’acqua, il gas, l’energia elettrica, il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Il Codice Civile, pubblicato nel 1942, risulta persino avveniristico per l’epoca, ma, pensando all’evoluzione dell’edilizia è risultato limitato nel tempo, ed è stato, infatti, integrato da una lunghissima serie di sentenze che hanno fatto chiarezza su quali parti di edificio siano effettivamente comuni.

Occorre ricordare che, negli atti di compravendita, è sempre possibile prendere accordi differenti rispetto a quanto previsto dal Codice Civile.

Ad esempio, la Corte di Cassazione ha sancito in numerose occasioni, in ultimo la sentenza n. 23304 del 31/10/2014, che anche l’intercapedine (o vespaio) presente tra il piano di posa delle fondamenta e la prima soletta del piano interrato è di proprietà comune, salvo che non sia diversamente previsto dai titoli di acquisto. Tale disposizione trova la propria giustificazione dal fatto che il “volume tecnico posto sotto il solaio del piano terra era stato realizzato per creare un sistema fondazionale a camera d’aria e che non era stata prevista l’utilizzazione esclusiva di tale volume da parte della società costruttrice poiché non computabile in quanto non accessibile e non utilizzabile”.

Questa definizione può intendersi ampliata a tutte le tipologie di intercapedini che servono ad un’utilità comune quali, ad esempio, quelle presenti nelle facciate a doppia parete, ispezionabili o no che siano, molto utilizzate nell’architettura moderna.

Per il condominio, il 2017 riserva alcune novità: l’ecobonus avrà un’aliquota di detrazione del 70 o 75% a seconda dell’intervento realizzato. La proroga di questa detrazione è fino al 2021.

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I sottotetti

La Riforma del Condominio del 2012 (Legge 220/2012) ha stabilito che anche i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune sono da considerarsi parti comuni ed indivisibili del condominio. Tale aggiornamento è volto a metter fine alle numerose vertenze e stabilisce chiaramente che, se non sia prevista la proprietà esclusiva dai titoli di proprietà, il sottotetto che può essere suscettibile di utilizzazione autonoma, accessibile a tutti i condomini e/o ospitante impianti o beni di servizio comune (quale ad esempio l’accesso al tetto di copertura) deve intendersi bene comune ed indivisibile del condominio. All’opposto, invece, quando il sottotetto rappresenta un mero vano di protezione ed isolamento per le unità dell’ultimo piano, che godono dell’accesso esclusivo, allora il sottotetto deve intendersi pertinenza dell’unità immobiliare cui serve da protezione/isolamento.

In ambito di sottotetti oltre alla già citata riforma è opportuno citare le sentenze della Cassazione n. 7764/1999 e n. 4266/1999 e la sentenza del Tribunale di Bologna del 29 luglio 1996.

Per la trasformazione del sottotetto esclusivo in locali abitabili (leggi anche Sottotetto in Condominio: è sempre parte comune, tranne in due casi) occorre fare riferimento alla sentenza del Tribunale di Piacenza n. 160/1995, la quale afferma che tali locali possono essere trasformati in vani abitabili quando non sia presente alcun limite previsto nel Regolamento di Condominio Contrattuale redatto dal costruttore-venditore e riportato in ogni atto di compravendita o se non sia stato previsto alcun limite da una successiva deliberazione con unanimità di tutti i condomini ed inserita eventualmente nel regolamento e comunque, sempre che non rechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza dell’edificio, tramite cui potrebbe opporsi alla modifica anche un singolo condomino.

I balconi

Per ciò che concerne i balconi la situazione è stata delineata, anche qui, da numerose sentenze, tra cui occorre ricordare quelle della Suprema Corte n. 587/2011 e n. 218/2011 che sostanzialmente affermano, distinguendo la tipologia di balcone, quanto segue:

  • Balcone “aggettante”, cioè che sporge rispetto alla facciata dell’edificio: costituisce pertinenza dell’unità immobiliare cui serve ed è, dunque, di proprietà esclusiva;
  • Balcone “incassato”, cioè che non sporgono rispetto ai muri perimetrali dell’edificio: è da considerarsi proprietà comune ed indivisibile delle unità immobiliari cui serve rispettivamente da copertura e da pavimento.

Resta comunque inteso che le finiture, i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale sono considerate beni comuni a tutto il condominio in quanto si inseriscono dell’estetica ed aspetto dell’edificio.

Su quest’ultimo principio si basa anche l’impossibilità di un singolo condomino di decidere autonomamente il colore e la tipologia di una eventuale veranda o di una tenda da installare su una delle facciate; per tali manufatti, solitamente, si procede con la decisione di una veranda o tenda “tipo” a cui dovranno fare riferimento tutti i condomini che decideranno di installarne una.

È importante ricordare che ogni singolo caso può comunque sollevare nuove discordie e che, pertanto, deve essere analizzato singolarmente, tenendo presenti le linee guida fin qui elencate.

In ogni caso l’utilizzo di un bene comune non da parte di ogni singolo condomino non deve arrecare danno a terzi o rendere il bene comune stesso meno fruibile agli altri condomini, mantenendone la medesima destinazione d’uso.

Leggi anche:

https://ediltecnico.it/19694/lelenco-delle-parti-comuni-dopo-la-riforma-del-condominio/

 

Davide Galfrè

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