Con una recente sentenza la Corte costituzionale ribadisce, ancora una volta, la prevalenza del piano paesaggistico su tutti gli altri: alle Regioni non è quindi consentito apportare deroghe “peggiorative” alla normativa statale in materia di ambiente.
Il caso in questione riguarda, in particolare, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva. Il rapporto di presupposizione tra l’autorizzazione paesaggistica e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva (stabilito dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) impone chequest’ultima non possa avere dei contenuti che non risultino già previsti e disciplinati nell’autorizzazione paesaggistica, “non essendo consentito al legislatore regionale di introdurre, ex novo, categorie concettuali ed istituti idonei, per la loro indeterminatezza, a cagionare l’elusione dei precetti statali.”
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La disposizione regionale aveva infatti, tra le altre cose, introdotto la previsione di “margini di flessibilità” dell’autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione e autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva, ma l’espressione “margini di flessibilità” non è contemplata dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio né da altre norme statali in materia.
La sentenza n. 210/2016, pubblicata il 16 settembre scorso, ha quindi bocciato alcune norme della legge della Regione Liguria 6 marzo 2015 *, n. 6, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli (artt. 3, comma 1; 4, comma l; 8, comma 3; 11, comma 2; 15, commi l e 2; 17, commi 2 e 3; 23, commi 1 e 2; e 24, commi 1 e 2).
Nella sentenza, la Corte Costituzionale afferma infatti che “non può ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsivoglia forma, il principio di gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali”, specificando che quest’ultimo va considerato (come già affermato da un’altra sentenza, n. 182 del 2006) “valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale”.
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La disposizione aveva inoltre consentito alla Regione di rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto ampliamenti fino al 25% della superficie dell’aerale di cava, cosa che non può essere stabilita da un norma regionale ma deve costituire oggetto di specifico accordo tra Regione e Ministro dei beni culturali (in base agli artt. 135, 143 e 156 del D.lgs. 42/2004).
* La legge in questione reca le “Modifiche alla legge regionale 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), alla legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure), e alla legge regionale 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)”.
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