Appalto e recesso del condominio: come funziona

Il committente può recedere dal contratto di appalto, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno. E se il committente è il condominio? Vediamo qualche caso concreto.

Secondo l’articolo 1671 c.c. (Recesso unilaterale dal contratto) il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

E se il committente è il condominio? Vediamo qualche caso concreto.

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Indice

Irrilevanza delle ragioni del recesso

Il diritto potestativo riconosciuto al condominio-committente di risolvere unilateralmente l’appalto può essere esercitato in qualunque momento posteriore alla conclusione del contratto (purché prima dell’ultimazione dell’opera) e può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l’appaltatore per fatti di inadempimento.

Il recesso infatti non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto ma, al contrario, stante l’ampiezza di formulazione della norma di cui all’art. 1671 c.c., può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il condominio a porre fine al rapporto, da un canto non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore a proseguire nell’esecuzione dell’opera (avendo egli diritto solo all’indennizzo previsto dalla norma) e, d’altro canto, rispondendo il compimento dell’opera esclusivamente all’interesse del committente (Cass. civ., Sez. II, 09/10/2017, n. 23558).

Una volta esercitato il recesso dal contratto di appalto, le parti devono regolare i reciproci rapporti economici. A questo riguardo l’art. 1671 c.c. prevede che il committente “tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Si tratta di tre distinte voci di costo.

Recesso e risoluzione: due scelte diverse

Se il condominio manifesta la volontà di recedere è preclusa la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore, ivi compreso l’inadempimento riconducibile a difetti della parte di opera già ultimata, poiché il rapporto è ormai venuto meno per altro titolo, ossia a seguito del recesso.

Simmetricamente, il condominio che chiede la risoluzione non può poi invocare il recesso, avendo, con la domanda di risoluzione, innescato un procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti non più arrestabile mediante il recesso (Cass. civ., Sez. II, 05/09/1994, n. 7649). Nell’appalto, infatti, la domanda di risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento è diretta ad ottenere una pronuncia di carattere costitutivo, idonea a far retroagire la cessazione degli effetti al momento della stipulazione del contratto e fondata sulla commissione di un “illecito” negoziale.

Bisogna evidenziare però che tra dette domande non vi è rapporto di continenza, sicché possono essere proposte nello stesso giudizio in via subordinata, dovendo il giudice, in caso di rigetto della domanda di risoluzione, esaminare se sia fondata quella con cui si invoca la declaratoria di accertamento del legittimo esercizio del diritto di recesso (Cass. civ., sez. II, 06/04/2011, n. 7878).

Recesso e istanza di restituzione dell’acconto versato, e riserva di chiedere spese e danni

In caso di recesso, come detto, il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale del condominio, senza necessità di indagini sull’importanza e sulla gravità dell’inadempimento (Cass. civ., sez. II, 07/03/2018, n. 5368). La situazione però è diversa se la collettività condominiale chiede il risarcimento dei danni. A tale proposito la Cassazione ha precisato che la formulazione di un’istanza di restituzione dell’acconto versato e la riserva di chiedere spese e danni non sono, infatti, incompatibili con la domanda di recesso (Cass. civ., Sez. II, 29/07/2003, n. 11642).

Piuttosto, dei danni subiti dall’appaltante per pregresse inadempienze dell’appaltatore si può tenere conto in sede di liquidazione dell’indennizzo spettante all’impresa, all’esito del recesso esercitato dal condominio appaltante. Così il condominio può fare valere tali danni allo scopo di ottenere una proporzionale riduzione dell’indennizzo da questi dovuto, anche se li conosceva al momento del recesso. In altre parole l’esercizio del diritto di recesso riservato al committente non priva il recedente del diritto di richiedere il risarcimento per l’inadempimento in cui l’appaltatore sia già incorso al momento del recesso, anche ove esso sia imputabile a difformità o vizi dell’opera (Cass. civ., sez. III, 18/04/1975, n. 1491; Cass. civ., sez. I, 07/05/1974, n. 1279).

Del resto è vero che quando, nel corso dell’opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risolto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno (art. 1662 c.c., secondo comma).

Tuttavia la proponibilità della domanda di risarcimento danni da parte del committente, in caso di inadempimento dell’appaltatore in corso d’opera, non è ostacolata dal mancato esperimento dello speciale rimedio previsto dall’art. 1662 c.c., secondo comma, in ordine alle obbligazioni dell’appaltatore in corso di attuazione. Di conseguenza il mancato esercizio di tale facoltà non impedisce, una volta operato il recesso, la proposizione della domanda risarcitoria per l’inadempimento già verificatosi (Cass. civ., sez. II, 29/07/2003, n. 11642).

Giuseppe Bordolli

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