Annullamento SCIA dopo 30 giorni, serve comunicarlo?

Mario Petrulli 24/09/19
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Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la scorsa settimana: fascia di rispetto stradale, quando c’è divieto assoluto di costruire? Annullare la SCIA dopo i 30 giorni dalla presentazione, richiede la comunicazione di avvio del procedimento?

E ancora: serve il permesso di costruire per una gru cavalletto? E per la posa di un container? Calcolo della tolleranza di cantiere e “misure progettuali”, quale legame?

Annullamento SCIA dopo 30 giorni, comunico l’avvio del procedimento?

TAR Veneto, sez. II, sent. 17 settembre 2019 n. 985

L’annullamento di una SCIA dopo i 30 giorni dalla presentazione richiede la comunicazione di avvio del procedimento

Come noto l’art. 23 del DPR 380/2001 prevede che l’esercizio dei poteri inibitori del Comune debba intervenire nel rispetto del termine di 30 giorni dalla presentazione della SCIA: ed infatti “la dichiarazione di inizio attività ivi disciplinata è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, alla cui presentazione può seguire da parte della p.a. un silenzio di tipo significativo il quale, una volta decorso il relativo termine, le preclude l’esercizio di poteri inibitori“(cfr. Cons. St., Sez. IV, 12 novembre 2015 n. 5161; id., 29 febbraio 2016 n. 839; id., 19 maggio 2016 n. 2077)” Cons. St., Sez. IV, 15 novembre 2018, nr. 2085.

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Deve ritenersi, sulla scorta di principi oramai consolidati, che una volta decorso inutilmente il termine per l’esercizio dei poteri inibitori, residuino in capo all’Amministrazione solo gli ordinari poteri di autotutela, da esercitarsi nel rispetto dei presupposti di legge, con particolare riferimento alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio: “Per giurisprudenza costante, l’inutile spirare del termine accordato dalla legge per l’inibizione dei lavori o dell’intervento edilizio preannunciati con una DIA non priva l’amministrazione del potere di controllo urbanistico – edilizio e dell’eventuale potere sanzionatorio in ordine ad interventi realizzati in violazione della pertinente normativa (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 febbraio 2015, n. 937). (…)

Infatti, in presenza di una DIA illegittima, l’Amministrazione può intervenire anche oltre il termine di cui all’art. 23 comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.

Infatti, il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di DIA, è perentorio, ma anche dopo il suo decorso la P.A. conserva un potere residuale di autotutela; peraltro, tale potere residuale, con il quale l’Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, deve essere esercitato nel rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, sulla base di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II Quater, 9 gennaio 2015, n. 241” (Tar Lazio, Roma, Sez. I Quater, 30 dicembre 2016, n. 12891).

Conseguentemente, è illegittimo l’esercizio dei poteri di autotutela spettanti al Comune con riferimento all’annullamento di una SCIA non preceduta dalla comunicazione dell’avvio del procedimento e senza l’attivazione di alcuna altra forma di interlocuzione con l’interessato: “L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento e di instaurare un contraddittorio effettivo con i soggetti direttamente interessati assume maggior spessore in casi in cui, come quello in esame, l’Amministrazione esercita il potere di autotutela annullando quello che la giurisprudenza ha definito il diniego di esercizio nei termini di legge del potere inibitorio, ossia un’inerzia con cui, di fatto, l’amministrazione ha consentito il consolidarsi di una posizione soggettiva favorevole per l’interessato. Detto obbligo, dunque, trova la sua ragion d’essere primaria nell’indiscussa idoneità dei provvedimenti cc.dd. di “secondo grado” ad incidere su posizioni giuridiche ormai acquisite e, quindi, sull’affidamento ingenerato negli interessati dagli atti di “primo grado” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II Bis, 8 novembre 2016, n. 11054; id. Latina, Sez. I, 31 agosto 2016, n. 536; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 8 giugno 2016, n. 1141).

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Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il vincolo delle fasce di rispetto comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale; tale vincolo opera direttamente e automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, l’amministrazione può emettere solo un parere negativo sull’istanza di condono (v. ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 19/10/2018 n. 5985).

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Dalle considerazioni che precedono deriva, ulteriormente, l’infondatezza dei motivi di ricorso rilevanti eccesso di potere per asserita illogicità e carenza istruttoria dell’operato posto in essere dal comune di Carpi, né può ragionevolmente ritenersi sussistente alcun legittimo affidamento di parte ricorrente riguardo all’accoglimento dell’istanza di condono edilizio.

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Orbene, come è noto costituisce attività soggetta al rilascio di un permesso di costruire ogni intervento che comporti una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e tale concetto non comprende le sole attività di edificazione in senso proprio, ma tutte quelle consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo, per adattarlo ad un impiego diverso da quello precedente, e ciò accade indubbiamente nel caso in esame dove la struttura realizzata ha un uso permanente ed un rilevantissimo impatto sul territorio dato che comporta modifiche di volume, superficie e sagome rispetto al capannone preesistente con una struttura che ha una propria autonomia (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 1 dicembre 2016, n. 5555).

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Del resto l’art. 3, comma 1, lett. e.3) e e.7) del DPR 6 giugno 2001, n. 380, definisce come interventi di nuova costruzione “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato” e la realizzazione “di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”.

Di conseguenza, non può ritenersi sufficiente una comunicazione di inizio lavori asseverata per la realizzazione delle suddette opere.

Calcolo della tolleranza di cantiere, quali misure valgono?

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Il comma 2-ter dell’art. 34 DPR 380/2001 ha codificato la regola di matrice giurisprudenziale della irrilevanza ai fini sanzionatori delle difformità rispetto al progetto autorizzato, contenute in misura trascurabile e, pertanto, presuntivamente riconducibili all’imprecisione dei mezzi di rilevazione, alla consistenza dei materiali o alla necessità di minimi adeguamenti in sede esecutiva (c.d. tolleranza di cantiere) (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II Sent., 26/06/2015, n. 1061).

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Nelle applicazioni giurisprudenziali la percentuale è computata sul complesso dell’unità immobiliare e non rispetto ai singoli elementi architettonici.

Il comma 2-ter dell’art. 34 DPR 380/2001 consente di escludere dall’ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle “misure progettuali”.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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