La realtà è che le Amministrazioni in tutti questi anni hanno chiuso un occhio di fronte al volto peggiore dell’abuso edilizio, quello che mette a rischio le vite umane. Tra il 2005 e il 2015, il 10% dei Comuni ha continuato a costruire e urbanizzare in zone a rischio (sotto ai vulcani, vicino ai fiumi). Questa questa facilità a delinquere non scoraggia Casa Italia, che ha il compito di preparare un piano pluriennale per la messa in sicurezza delle case. Ci sta provando, anche conducendo uno studio e stilando un rapporto con cui sta raccogliendo alcuni dati utili.
Ci sono alcuni Comuni che, almeno, ci provano a invertire la rotta. Come il Comune di Messina, che sta tentando di rimediare agli abusi edilizi e agli insediamenti di case lungo i 70 torrenti della provincia, predisponendo un piano di incentivi per trasferire gli abitanti delle zone più pericolose verso zone più sicure. Messina diventa progetto pilota anti-abusivismo? Sembra una barzelletta ma, se andrà in porto, sarà così: un esempio tutta l’Italia.
Speriamo che non vada a finire come in Campania, 15 anni fa. Ricordate? Quando la Regione cercò di convincere gli abitanti delle zone a rischio sotto al Vesuvio a trasferirsi in aree più sicure, dando una serie di incentivi e consentendo l’abbattimento delle vecchie case, molte famiglie intascarono l’incentivo e affittarono le case a rischio ad altri. Con tre risultati: passarono il rischio ad altri, come una patata bollente; il numero dei Comuni in pericolo salì da 18 a 25; e addio demolizione delle case abusive.
Abuso edilizio, un fallimento dei Comuni
I tentativi di delocalizzare la popolazione minacciata da disastri naturali verso zone più sicure sono sempre stati inutile in Italia, soprattutto per l’incapacità, il lassismo e la debolezza delle amministrazioni locali. A fallire non sono i piani di demolizione e ricostruzione degli edifici abusivi, ma prima di tutto i poteri locali. Risultato finale: oggi, un milione e 200 mila italiani vivono sotto il pericolo di frane e quasi due milioni sono a rischio alluvioni.
Dopo Ischia, ecco un nuovo tentativo, di Casa Italia, di combattere l’abuso edilizio. Si partirebbe dall’istituzione di un potere sostitutivo dello Stato in quei Comuni che non rendono operative le ordinanze definitive di demolizione degli edifici abusivi a rischio. L’operazione avrà bisogno di incentivi: gli esperti di Casa Italia invitano il governo a cancellare per 5 anni in tutta Italia, per le demolizioni e le operazioni di ricostruzione, Tasi, Imu e a detrarre le spese da Irpef e Irap. È corretto limitare questi sgravi a chi abbatte e demolisce? E nei casi in cui sarebbe sufficiente e conveniente un intervento di consolidamento?
A cosa serve Casa Italia?
Ricordiamo che la lotta all’abusivismo edilizio è una delle sfide che Casa Italia si è posta di combattere (è un’illusione?). Le altre due sono: la riduzione del rischio idrogeologico (per ora sono stati stanziati 10 miliardi, ma ne servono 22) e la sistemazione degli edifici nelle zone più esposte ai terremoti. Per raggiungere questo secondo scopo, i tecnici di Casa Italia sono andati a vedere, nelle zone a maggior rischio di terremoti, quanti sono gli edifici abitativi meno resistenti, quelli in muratura portante o in calcestruzzo armato costruiti prima del 1970, cioè quando ancora non c’erano norme anti-sismiche. Sono quasi 570 mila, in 643 Comuni. La proposta di Casa Italia, già finanziata con 100 milioni, prevede l’invio di tecnici sul posto per verificare il grado di vulnerabilità di quegli edifici, comunicarlo ai proprietari e renderli consapevoli dei rischi che corrono, per sperare di convincerli a usare il Sismabonus.
È corretto “sperare di convincerli” o sarebbe più corretto e giusto finanziare gli interventi? Considerando che si tratta di coprire edifici non abusivi ma costruiti prima della legge antisismica, si potrebbe valutare l’ipotesi del finanziamento? Certo, come sempre sarebbe difficile trovare i soldi. Ma come si può davvero sperare che tutte le famiglie visitate, che molto spesso versano in condizioni economiche difficili e che altrettanto spesso non si rendono conto davvero del pericolo (perchè è umano, perchè normale sperare che non succeda, di fronte a una spesa così consistente..), facciano questo tipo di interventi?
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