L’art. 38 del Testo Unico Edilizia [1] prevede che:
“1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
2. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”.
Alla luce di tale previsione, presupposto essenziale affinché il Comune possa applicare la sanzione pecuniaria da essa prevista è che “non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative”.
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La giurisprudenza
La giurisprudenza ha chiarito, al riguardo, che “l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la restituzione in pristino, può trovare applicazione unicamente a fronte di vizi che riguardino la forma e la procedura e che – alla luce di una valutazione in concreto effettuata dall’Amministrazione – risultino non rimuovibili”[2]; ciò in quanto “La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 non può giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito”[3].
Un caso concreto di vizio meramente formale
La recente sent. 24 ottobre 2024, n. 833, il TAR Lombardia, Brescia, sez. II, ha affrontato un caso in cui si era avuto l’annullamento di un intervento di ristrutturazione edilizia basato sulla circostanza che la variante parziale allo strumento urbanistico sottesa all’intervento non avrebbe potuto essere approvata con una procedura semplificata ma avrebbe richiesto l’attivazione della procedura ordinaria. Si trattava, secondo i giudici, di un vizio meramente formale, e non sostanziale, della procedura autorizzativa, tenuto conto che, sotto il profilo sostanziale, il consiglio comunale aveva già valutato favorevolmente l’intervento e la sua compatibilità urbanistico-edilizia. Sotto il profilo formale, invece, per superare la previsione ostativa dello strumento urbanistico in allora vigente, l’amministrazione avrebbe dovuto approvare la variante parziale al PGT con la procedura ordinaria e non con quella semplificata.
Trattandosi di un vizio meramente formale, l’amministrazione avrebbe potuto sanarlo con lo strumento eccezionale di cui all’art. 38 TUE, diretto a tutelare il legittimo affidamento indotto nel privato dal rilascio del titolo edilizio allorché quest’ultimo sia affetto da vizi meramente formali, soprattutto allorché questi ultimi – come nel caso di specie – siano imputabili unicamente alla stessa amministrazione comunale.
Quella che viene in considerazione è, in sostanza, una forma speciale di convalida del provvedimento amministrativo viziato che, per espressa previsione di legge, può intervenire eccezionalmente dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento viziato, in presenza di vizi meramente formali. Come ogni provvedimento di convalida, quello adottato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 38 TUE, al fine di rimuovere i vizi formali che abbiano inficiato la legittimità della procedura amministrativa produce per sua natura effetti retroattivi, rendendo legittimi i titoli edilizi (nel caso di specie, il piano di recupero e il successivo permesso di costruire) sin dall’origine, senza quindi la necessità di richiedere ulteriori condoni o sanatorie.
Nel caso di specie, l’amministrazione aveva del tutto omesso di valutare la possibilità di rimuovere il vizio che inficiava il piano di recupero e il conseguente permesso di costruire, procedendo ora per allora all’approvazione della variante parziale allo strumento urbanistico con procedura ordinaria.
Secondo i giudici, il Comune avrebbe dovuto procedere d’ufficio alla verifica di emendabilità del vizio formale, a prescindere da ogni istanza di parte, imponendolo espressamente l’art. 38 in questione.
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Note
[1] Dpr n. 380/2001.
[2] Consiglio di Stato Ad. plen., 07/09/2020, n. 17.
Una sintesi efficace della giurisprudenza è contenuta in TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 5 ottobre 2020, n. 1305: “La disposizione normativa è stata, negli anni, variamente interpretata dalla giurisprudenza, che, in linea di massima, tendeva verso una lettura interpretativa ad ampio raggio, che identificava nel dato dell’emendabilità o meno in concreto del vizio (sostanziale o formale) il criterio dirimente per applicare o meno il regime della fiscalizzazione dell’abuso. A tal fine, l’indagine cui era tenuta l’amministrazione presentava confini squisitamente dilatati, dovendo la stessa verificare se i vizi formali o sostanziali fossero emendabili, ovvero se la demolizione fosse effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari, e, soltanto in presenza degli anzidetti presupposti, era possibile la convalida dell’intervento e l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria che produce, di fatto, i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 . (Cons. Stato, Sez. VI n. 2419/2020; Consiglio di Stato sez. VI, 04/11/2019, n.7508; Cons. Stato, Sez. VI, 04.11.2019, n. 5089; Cons. Stato, Sez. VI, 28.11.2018, n. 6753; Cons. Stato, Sez. vi 12 maggio 2014 n.2398).
L’Adunanza Plenaria, con sentenza n. 17 del 15.07.2020, ha superato questi orientamenti con le seguenti articolate argomentazioni:
“perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, la disposizione è presidiata da due condizioni: a) la prima è la motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b) la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino. Trattasi di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione dei luoghi in pristino stato.
Entrambe le condizioni sono invero declinate in modo generico dal legislatore, non avendo quest’ultimo chiarito cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” di riduzione in pristino.
I quesiti posti dall’ordinanza di rimessione si concentrano sul primo aspetto, avendo la giurisprudenza in alcuni casi sostenuto che nei “vizi della procedura” possano sussumersi tutti quelli potenzialmente in grado di invalidare il provvedimento, siano essi relativi alla forma e al procedimento, siano essi invece relativi alla conformità del provvedimento finale rispetto alle previsioni edilizie e urbanistiche disciplinati l’edificazione. Secondo questo ormai nutrito filone giurisprudenziale, la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale) avendo il legislatore affidato l’eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell’esigenza di tutelare l’affidamento del privato. in questa chiave di lettura è la “motivata valutazione” fornita dall’amministrazione l’unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi.
L’Adunanza Plenaria è di diverso avviso, alla luce delle seguenti considerazioni d’ordine testuale e sistematico.
La disposizione in commento fa specifico riferimento ai vizi “delle procedure”, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria.
Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. la convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura “procedurale”, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di “rimozione del vizio” afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale.
Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto”.
Ergo, dal substrato motivazionale dell’Adunanza Plenaria discende il seguente binomio: vizio procedurale/applicazione art. 38; vizio sostanziale/ non applicazione art. 38.”.
[3] Consiglio di Stato, sez. VI, sen. 11 ottobre 2023, n. 8869.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
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