Qualche giorno fa (13 luglio) in Consiglio dei Ministri è passato il provvedimento correttivo del d.lgs. 102/2014 con cui il nostro Governo aveva recepito la direttiva europea sull’efficienza energetica (EED 27/2012). Il correttivo si è reso necessario per sanare la procedura di infrazione aperta dalla UE a febbraio del 2015.
CONSULTA IL DOSSIER SULLA TERMOREGOLAZIONE
Con riferimento alla contabilizzazione del calore è confermata la scadenza entro la quale i dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione devono essere installati: 31 dicembre 2016. Chi si attendeva una proroga non ha compreso che tale termine è stato imposto proprio dalla direttiva europea n. 27, non derogabile.
Invariate anche le sanzioni per gli inadempienti: da 500 a 2.500 euro per unità immobiliare, in caso di mancata installazione dei dispositivi entro il 31 dicembre 2016.
Siamo in attesa della pubblicazione definitiva in Gazzetta Ufficiale, ma un’analisi del documento discusso dal CdM mostra che le sorprese maggiori arrivano dalle modifiche introdotte all’articolo 9, comma 5, lettera d), che regolamenta la ripartizione delle spese per il riscaldamento ed era stato oggetto di critiche fin dalla pubblicazione del 102 in Gazzetta Ufficiale nel luglio 2014. Tre erano, infatti, i punti del testo originario contestati da una parte di operatori e utenti:
1) in generale, l’imposizione della norma UNI 10200 come metodo obbligatorio per la ripartizione delle spese;
2) la necessità di dover richiedere a un professionista termotecnico il calcolo dei nuovi millesimi di fabbisogno di energia termica utile, da utilizzarsi in sostituzione dei millesimi di proprietà e di quelli tradizionali basati sulla potenza installata;
3) l’assenza di coefficienti correttivi per mitigare l’impatto delle dispersioni termiche nelle unità immobiliari situate in posizione “svantaggiata” (ad esempio all’ultimo piano).
Più dubbi che certezze: i 3 nodi del correttivo
A meno di smentite o chiarimenti successivi, l’impressione è che il nuovo provvedimento sulla termoregolazione nei condomini introduca più dubbi che certezze. Analizziamo i tre aspetti all’origine dei dubbi principali.
1. Imposizione della norma UNI 10200 (aprendo ora anche alla possibilità di introdurre nella norma non più solo meri aggiornamenti bensì anche vere e proprie modifiche). Il nuovo testo conferma l’obbligatorietà della UNI 10200, a meno che non si verifichi una delle seguenti condizioni:
a. la 10200 non sia applicabile;
b. siano comprovate differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari superiori al 50%.
In presenza di una di queste due condizioni, il legislatore autorizza il condominio ad accantonare la 10200 e a ripartire le spese secondo percentuali fisse: almeno il 70% per il consumo volontario e la rimanenza come quota fissa da suddividere sulla base di millesimi, metri quadri, metri cubi o potenze installate. In pratica, il tradizionale riparto 70-30 ma senza alcun fattore correttivo.
Nel caso della lettera “a” non è ben chiaro quali siano le condizioni che potrebbero rendere inapplicabile la norma in quanto essa, soprattutto nella recente versione che ha superato la fase di inchiesta pubblica, appare sempre applicabile.
La lettera “b”, invece, contempla una situazione che si verifica quasi sempre: grosse differenze di fabbisogno tra unità immobiliari poste all’ultimo piano e unità in posizione centrale. Quindi la maggior parte dei condomìni italiani potrebbe sentirsi autorizzata a non utilizzare la norma UNI 10200, pensando di evitare discussioni e contenziosi ma incappando in problemi ancor più seri… Infatti, oltre a non aver chiarito come e su cosa calcolare il 50% (sulla media delle unità immobiliari? su quella con maggior fabbisogno o su quella con minor fabbisogno?), questa parte genera contraddizioni enormi se si considerano i due successivi punti.
2. L’obbligo del ricalcolo dei nuovi millesimi di fabbisogno ha generato disappunto in molti utenti fin dall’inizio. Ma il provvedimento appena approvato non cambia granché la sostanza. Se vi sono grandi differenze di fabbisogno tra le unità immobiliari, il nuovo decreto consente di definire una quota fissa per le dispersioni (al massimo il 30%) e di suddividere tale spesa sulla base di semplici dati già a disposizione del condominio (metri quadri, metri cubi, millesimi di proprietà o vecchi millesimi di riscaldamento). Peccato che per poter accedere a questo metodo “semplificato” occorra una relazione tecnica asseverata che dimostri differenze proprio sul fabbisogno! In pratica, per poter tornare a utilizzare i millesimi di proprietà o quelli tradizionali basati sulle potenze installate, il condominio deve ugualmente pagare un professionista termotecnico per farsi calcolare il fabbisogno termico… (altro dubbio: sullo stato originario o sullo stato di fatto?).
3. I coefficienti correttivi sono argomento di discussioni infinite. Chi vive all’ultimo piano di un edificio mal coibentato sostiene che le dispersioni vadano attribuite al condominio nel suo complesso. Chi vive negli appartamenti centrali, invece, non ha nessuna intenzione di continuare a condividere le spese per queste dispersioni che non avvengono nella sua unità immobiliare. Vi sono Paesi che usano i coefficienti correttivi per mitigare le grosse differenze di spesa e altri no. Il correttivo del d.lgs. 102 crede di aver affrontato e risolto questo spinoso problema affermando che, in presenza di grandi differenze di fabbisogno termico, il condominio può fare a meno della norma UNI 10200 e ripartire le spese secondo quote fisse: almeno il 70% della spesa basata sui consumi volontari e la rimanenza basata su millesimi, metri quadri o metri cubi. L’effetto che si ottiene sarà esattamente l’opposto del risultato desiderato: avendo come obbligatoria una quota minima del 70% da imputare ai consumi volontari, chi vive all’ultimo piano vedrà aggravarsi la propria situazione perché il nuovo decreto in questo caso non contempla la possibilità di utilizzare alcun coefficiente correttivo! Se, ad esempio, l’assemblea condominiale delibera l’80% a consumo e il 20% di quota fissa, l’utente dell’ultimo piano sarà ancor più penalizzato che con il metodo riportato nella UNI 10200. Al contrario, la nuova versione della UNI 10200, attualmente in fase di revisione, prevederà quasi certamente dei coefficienti per suddividere tra tutte le unità immobiliari gli extra consumi dovuti alle strutture orizzontali (in particolare il sottotetto).
In pratica, il condominio che deciderà di applicare la norma UNI 10200 avrà a disposizione uno strumento per rendere ragionevole la ripartizione delle spese, mentre il condominio che vorrà fare a meno della norma si troverà a gestire infinite discussioni tra gli utenti dei vari piani.
Un esempio? Pensate al caso del condominio di 5 piani: gli utenti del primo e dell’ultimo piano voteranno in assemblea a favore della UNI 10200, così da avere un meccanismo correttivo per condividere gli extra costi delle dispersioni con tutti gli altri appartamenti. Ma gli utenti del secondo, terzo e quarto piano (sicuramente la maggioranza) potrebbero votare contro la UNI 10200, accordandosi su una quota a consumo del 90% e una quota fissa del 10%! Avendo dispersioni molto ridotte, infatti, queste unità centrali avranno tutto l’interesse a ridurre al minimo la quota fissa.
Ancor peggio potrebbe andare agli edifici scarsamente abitati, ad esempio le seconde case al mare o in montagna (ma non solo). Se l’assemblea decidesse di non applicare la norma UNI 10200, nessun correttivo verrebbe applicato al calcolo della ripartizione, con il risultato che i pochi utenti che risiedono stabilmente nel condominio si troverebbero a pagare quasi tutta la spesa sulla base del consumo volontario.
Se milioni di italiani speravano in maggiori certezze sulla voce di spesa più significativa del condominio, il riscaldamento, pare che per ora tali certezze non siano arrivate. Quando il legislatore veste i panni del tecnico, le insidie sono sempre dietro l’angolo…
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