Anche dopo diversi anni dalla concessione, i Comune, la Regione o i Giudici amministrativi possono procedere all’ annullamento permesso di costruire per la realizzazione di opere rilasciato dal Comune, con inevitabili conseguenze sulla legittimità della costruzione già realizzata. Infatti il permesso di costruire ed eventuali varianti, sono suscettibili di annullamento in autotutela sia dal Comune che lo ha rilasciato che dalla Regione, oppure da parte del Tribunale Amministtrativo Regionale.
L’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 prevede l’irrogazione della sanzione pecuniaria alternativa all’ordinanza di demolizione in caso di annullamento del permesso di costruire solo “qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino”.
Dunque, come è fatto palese dal tenore letterale della norma e come la condivisibile giurisprudenza ha avuto modo di precisare, la fiscalizzazione dell’abuso edilizio può riguardare, contrariamente a quanto si reputa da parte ricorrente, solo vizi formali e procedurali e non sostanziali, e le ipotesi in cui soltanto una parte del fabbricato risulti abusiva e nel contempo risulti obiettivamente verificato che la demolizione di tale parte esporrebbe a serio rischio la residua parte legittimamente assentita (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.05.2006, n. 2960; T.A.R. Liguria, 05.02.2011, n. 235; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 19.04.2012, n. 738).
La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, poi, precisato che anche in caso di annullamento del titolo edilizio per vizi sostanziali la sanatoria (recte, la rinnovazione del titolo, l’emanazione di un nuovo permesso di costruire) è consentita, qualora si sia trattato di vizi emendabili, che possono essere rimossi, mentre è preclusa qualora si tratti di vizi inemendabili (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4221/2015, sez. IV, n. 7131/2010).
Il modello legale tipico di atto consequenziale è proprio quello dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all’interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento della concessione si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, nessun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore.
Mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza, giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela reale’ privilegiata dal legislatore, mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124).
L’applicabilità della sanzione alternativa pecuniaria è, invece, prevista dall’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 per l’ipotesi in cui soltanto una parte di un fabbricato risulti abusivamente realizzata e risulti, nel contempo, accertato che la sua demolizione esporrebbe a serio rischio statico la residua parte legittima del fabbricato medesimo (Consiglio di. Stato, sez. IV, 21 aprile 2008, n. 1776), e non già per il caso – verificatosi nella specie – in cui l’intera opera sia stata assentita mediante titolo abilitativo edilizio annullato; né, peraltro, risulta in concreto dimostrata da parte ricorrente l’effettiva e insuperabile impossibilità tecnica del ripristino dello stato dei luoghi, giustificativa dell’irrogazione della misura alternativa pecuniaria.
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