Ripristinare l’impianto di riscaldamento centralizzato è obbligatorio: quando?

È legittima la pretesa del condomino al ripristino dell’ impianto di riscaldamento soppresso dall’assemblea dei condòmini con delibera dichiarata illegittima, essendo irrilevante l’onerosità per gli altri condòmini”.

Questo è il principio di diritto espresso di recente dalla Corte di Cassazione, Sez. II, con la sentenza del 22.01.2016, n. 1209.

Il caso portato all’attenzione del Supremo Collegio, trae origine dal giudizio intentato da una condomina, proprietaria di due unità immobiliari in un fabbricato costituito in condominio, che chiedeva il ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato, disattivato tempo addietro in virtù di una delibera assembleare, successivamente, impugnata e, quindi, dichiarata nulla con sentenza confermata in appello e passata in autorità di cosa giudicata.

Il Condominio convenuto si difendeva, evidenziando l’intento puramente emulativo dell’azione giudiziale intrapresa dalla condomina.

Eccepiva, infatti, che tutti condomini, compresa l’attrice, nelle more si erano dotati di impianto di riscaldamento autonomo; ciò posto, l’azione intrapresa non aveva altro scopo che arrecare nocumento agli altri condomini che, pertanto, rappresentava un mero atto emulativo vietato, ex art. 833 c.c., per il quale: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”.

La domanda, qualificata in primo grado come azione possessoria, veniva accolta dal Tribunale di Foggia – Sez. Distaccata di Cerignola, con l’ordine di immediata reintegra della condomina nel possesso dell’impianto di riscaldamento centralizzato, mediante il ripristino dello stesso.

Sul gravame proposto dal Condominio, la Corte d’Appello di Bari, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda attrice.

Il giudice d’appello, premessa la natura petitoria dell’azione intrapresa, in conformità alle tesi dell’appellante, dichiarava la natura emulativa dell’azione di ripristino dell’ impianto di riscaldamento disattivato a seguito di delibera condominiale dichiarata nulla. Per motivare tale decisione, il giudice di secondo grado, evidenziava come nel giudizio di impugnativa della delibera di disattivazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, non risultava richiesta né, comunque, ottenuta la sospensione cautelare della deliberazione contestata.

Che, nelle more di quel giudizio, numerosi condomini dell’edificio, avevano preferito dotarsi di autonomi impianti di riscaldamento, a eccezione proprio della condomina attrice.

Ciò posto, evidenziava come l’impianto comune di riscaldamento per poter essere adeguatamente ripristinato necessitava di importanti ed onerose opere di trasformazione e adeguamento, anche in termini di sicurezza dell’impianto di riscaldamento, sia per l’incolumità degli inquilini che dei fabbricati limitrofi.

Dalla disposta Consulenza Tecnica d’Ufficio, infatti, era emerso come la necessaria separazione dell’impianto per la produzione dell’acqua calda, avrebbe comportato una spesa di somme variabili tra i 173.500,00 e i 251.500,00 euro, oltre ai costi necessari per la messa in sicurezza dell’ormai vetusta centrale termica, con tutti i conseguenti disagi e spese per la nuova installazione di impianti per la produzione di acqua calda in ogni singolo appartamento, senza considerare che la spesa relativa all’acquisto del combustibile della vecchia caldaia, risultava ben più oneroso di quello di una moderna caldaia a metano.

La Corte d’Appello, desumeva la natura emulativa dell’azione proposta dalla condomina e, pertanto, l’abuso del diritto, dalla possibilità per la stessa di trovare adeguato ristoro in una diversa tutela risarcitoria.

Ciò anche in virtù dell’evidente sproporzione fra l’utile conseguibile dalla condomina con il ripristino dell’ impianto di riscaldamento centralizzato e il peso imposto alla quasi totalità dei condomini, in considerazione del fatto che l’attrice avrebbe potuto molto più semplicemente dotarsi anch’essa di impianto autonomo e chiedere il ristoro delle spese necessarie alla realizzazione di siffatto impianto, con minor nocumento – anche in termini economici – per tutti gli altri condomini.

La sentenza d’appello veniva in cassazione contestata per diversi motivi, quali la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cc., l’omessa e insufficiente motivazione, l’erronea comparazione tra il presunto esercizio abusivo di un diritto con l’esigenza di tutelare una posizione non meritevole di tutela.

La Corte di Cassazione, in considerazione della natura del giudizio, la proprietà ovvero la comproprietà di un bene condominiale, quale appunto l’impianto centralizzato di riscaldamento, si pone dapprima il problema della condotta posta in essere dalla condomina attrice, da valutarsi sulla scorta dell’art. 833 c.c., secondo cui il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Sostiene la Corte che: “la norma ha la finalità di assicurare che l’esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall’ordinamento, impedendo che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri: in sostanza, l’atto deve essere obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma di per sé idoneo ad arrecare danno a terzi, dovendo poi il requisito del c.d. animus nocendi essere accertato alla stregua della condotta, quale si è esteriorizzata in concreto, e da cui possa trarsi inequivocabilmente la prova dell’assenza di interesse per il proprietario di compiere un atto pregiudizievole ai terzi”.

Ciò posto, la medesima ritiene che, ogni qual volta vi sia un interesse del proprietario, l’azione non può ritenersi emulativa, peraltro, al giudice è preclusa qualsiasi valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco, né egli può formulare un valutazione sul valore o la prevalenza dei contrapposti interessi dei proprietari, o di quelli di terzi.

 

Nel caso di specie, afferma la Suprema Corte: “il diritto al ripristino dell’ impianto di riscaldamento rispondeva all’utilità della condomina di potere usufruire di un servizio comune che era stato illegittimamente disattivato dall’assemblea dei condomini che, proprio in attuazione di tale illegittima delibera, si erano poi dotati di impianto autonomo. La sentenza, nel ritenere nella specie l’abuso del diritto da parte dell’attrice, ha erroneamente fatto riferimento, da un lato, alla natura e all’entità delle opere di radicale trasformazione che si sarebbero necessarie per il ripristino dell’impianto (quando ormai tutti gli altri condomini si erano dotati di impianto unifamiliare) – ovvero alla onerosità del ripristino – e, dall’altro, alla circostanza che l’attrice avrebbe potuto dotarsi di un impianto unifamiliare (e chiedere il risarcimento del danno determinato dai costi e dai disagi): in tal modo, ha ravvisato l’abuso del diritto formulando un inammissibile giudizio di proporzionalità fra l’utilità conseguibile dalla condomina e l’onerosità che ne sarebbe derivata ai condomini”.

Così ritendo che l’utilità del singolo condomino al ripristino di un servizio comune abusivamente dismesso, prescinda dal costo del ripristino medesimo e dalle possibili soluzioni alternative che il singolo condomino possa concretamente adottare, per sopperire al dedotto disservizio.

La Corte di Cassazione, pertanto, con la sentenza del 22.01.2016, n. 1209, accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Formula, altresì, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il seguente principio di diritto: “Tenuto conto che, ai sensi dell’art. 833 cod. civ., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma dannoso per altri, è legittima e non configura abuso del diritto la pretesa del condomino al rispristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall’assemblea del condomini con delibera dichiarata illegittima, essendo irrilevanti sia la onerosità per gli altri condomini – nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari delle opere necessarie a tale ripristino sia l’eventuale possibilità per il condomino di ottenere eventualmente, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo”.

articolo di  Paolo Accoti, Avvocato, articolista giuridico, esperto in diritto condominiale. Dello stesso autore puoi leggere:  Spese condominiali, chi deve contribuire?

 

Redazione Tecnica

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