Qualora si proceda, in zona agricola, ad un innalzamento del piano di campagna ed alla realizzazione, sul terreno rialzato, di un piazzale da adibire a deposito stabile, si verifica una situazione di incompatibilità rispetto alla destinazione agricola dell’area, ragion per cui, è necessario il rilascio del permesso di costruire.
La predetta massima – contenuta nella sentenza n. 3218 del 29.05.2006 della V° sezione del Consiglio di Stato – è stata richiamata dal TAR Lazio (LT), nella sentenza n. 715 del 18 agosto 2014. Si erano rivolte al TAR due società per l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza del comune di Sora con la quale si intimava “L’immediata sospensione delle opere e la rimessa in pristino dello stato dei luoghi originario” modificato mediante la realizzazione delle seguenti opere: “livellamento di terreno agricolo mediante cospargimento di materiale inerte su tutta la superficie, che ha determinato la modifica della destinazione d’uso urbanistica del terreno”; riscontrata l’inottemperanza, il comune disponeva l’acquisizione dell’area al patrimonio pubblico e la sanzione di ulteriori abusi.
In primo luogo le ricorrenti (in qualità di proprietaria l’una e di utilizzatrice dell’area l’altra) lamentavano l’illegittimità del provvedimento impugnato segnalando che i lavori erano stati eseguiti dopo la presentazione di apposita DIA. Rigettando il ricorso il TAR rilevava che la DIA, invocata dalle ricorrenti, prevedeva la “sistemazione agricola” di un terreno senza modificazione delle quote esistenti e circostanti, mentre era stata accertata la realizzazione di un piazzale, in pietrisco misto di cava, con sovrastante battuto in c.a., opere che interessavano un lotto di terreno agricolo posto ad un livello inferiore della strada, che era stato prima riempito con terreno e poi livellato fino al piano strada per poi realizzare, a ridosso del confine stradale, un battuto di cemento armato di circa 200 metri quadri. Si era dunque trattato di un riempimento del terreno, finalizzato al livellamento dello stesso rispetto alla quota stradale, e del suo consolidamento con battuto in cemento, cioè di opere comportanti una trasformazione permanente dell’assetto urbanistico-edilizio del territorio e della destinazione d’uso, necessitanti del permesso di costruire.
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Altra doglianza delle ricorrenti era quella inerente all’illegittimità del provvedimento per mancata comunicazione di avvio del procedimento. Anche sul punto il TAR respingeva il ricorso facendo richiamo a principi stabiliti dal Consiglio di Stato e precisando che l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 l. n. 241 del 1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo; né si configurano particolari esigenze o conseguenze connesse alla partecipazione procedimentale dell’interessato. (Consiglio di Stato, sez. V, 28 aprile 2014, n. 2196).
Articolo di Nicola D’Angelo, Magistrato
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