L’istituto dell’accertamento di conformità, disciplinato dall’art. 36 del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), per ottenere il permesso in sanatoria, è stato argomento ricorrente in alcune pronunce recenti. Vediamole.
Il TAR Marche, sez. I, nella sent. 24 ottobre 2022, n. 615, ha ricordato che:
- il provvedimento di sanatoria ex art. 36 richiede, oltre alla conformità dell’opera abusiva alla data della domanda, anche la sua conformità alla data di realizzazione dell’abuso;
- non è conseguentemente sufficiente dimostrare la conformità alla data della domanda per effetto della disciplina urbanistica sopravvenuta[1];
- spetta all’interessato dimostrare la sussistenza della doppia conformità, che non contempla solo la compatibilità con la destinazione di zona (come sostenuto in ricorso), ma include anche la conformità con tutta l’ulteriore (e spesso complessa) disciplina urbanistica ed edilizia (ad es. compatibilità con vincoli di vario genere, con i limiti di altezza, delle distanze e dei distacchi, di utilizzazione e di edificabilità fondiaria e territoriale, di copertura dell’area, del rapporto di permeabilità, ecc.), da svolgere anche distintamente e analiticamente per ciascun abuso.
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Sulla necessità che la doppia conformità nel permesso di costruire in sanatoria debba riguardare complessivamente tutte le opere tutte funzionalmente collegate tra loro si era espresso recentemente anche il TAR Lombardia, Milano, sez. II, nella sent. 29 settembre 2022, n. 2126, secondo cui “Come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, lo scrutinio circa la doppia conformità delle opere richiesto dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 non può che essere complessivo nel caso in cui – come quello in esame – siano realizzate abusivamente più opere tutte funzionalmente collegate tra loro. È stato, infatti, affermato che “L’art. 36 d.P.R. n. 380/01, del resto, regola la sanatoria avuto riguardo all’intervento abusivo e non alla singola opera abusiva; sicché, risultando l’intervento, anche alla stregua delle tipologie di intervento definite dall’art. 3 DPR n. 380/01, il risultato edilizio di una singola opera o di plurime opere funzionalmente connesse, la sanatoria dell’intervento non può non avere ad oggetto il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2020, n. 1848; id., 4 febbraio 2019, n. 843)”.
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Sempre il TAR Marche, sez. I, nella sent. 24 ottobre 2022, n. 610, ha ribadito che, per costante giurisprudenza, sull’istanza di accertamento di conformità si forma una fattispecie tipica, prevista dal legislatore, di silenzio – diniego, che può essere impugnato dall’interessato in sede giurisdizionale per il tramite dell’azione di annullamento, alla stregua di un provvedimento esplicito, con la differenza però che il diniego, in quanto tacito, non è censurabile per difetto di motivazione, di cui è strutturalmente carente per previsione legislativa, ma solo per il suo contenuto di rigetto[2].
Ancora, il TAR Marche, sez. I, nella sent. 24 ottobre 2022, n. 616, ha affrontato un ulteriore elemento interessante relativo all’accertamento di conformità, ossia la sua applicabilità agli abusi su suolo demaniale. I giudici hanno ricordato che, seppur l’art. 36 legittimi anche il “responsabile dell’abuso” (diverso dal proprietario) alla richiesta della sanatoria, è tuttavia dubbio che tale facoltà contempli anche le opere di cui al precedente art. 35 (che riguarda gli “Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici”) trattandosi di fattispecie non prevista dall’articolo in esame (che richiama solo gli articoli 31, 33 e 34). Non si può tuttavia negare che, in alcune circostanze particolari, la giurisprudenza abbia comunque ritenuto applicabile l’art. 36 per sanare abusi ex art. 35, ma solo quando il responsabile dell’abuso abbia un rapporto qualificato con l’area come, ad esempio, i titolari di concessioni demaniali[3], ipotesi comunque non dimostrata nel caso specifico.
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Infine, ricordiamo che il TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 23 giugno 2022, n. 1776, ha affermato che “È illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e, dunque, della possibilità di un apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda (T.A.R. Salerno, sez. II, 03/03/2022, n.610). L’applicazione adeguata dell’art. 10-bis della legge sul procedimento amministrativo esige non solo l’enunciazione nel preavviso di provvedimento negativo delle ragioni che si intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le stesse siano integrate, nella determinazione conclusiva ancora negativa, con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle ragioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione (Consiglio di Stato, Sez. V, 15/03/2019, n. 1705)”.
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[1] Non essendo possibile invocare la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”; istituto non più attuale per contrasto con il regime della doppia conformità ex art. 36 del DPR n. 380/2001 (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 3 marzo 2022, n. 1512 e giurisprudenza ivi richiamata; TAR Marche, sent. 17 marzo 2022, n. 167; sent. 6 maggio 2021, n. 389, che esclude anche la possibilità di invocare la compatibilità, con la disciplina urbanistica alla data della domanda, attraverso la procedura di variante di cui al DPR n.160/2010).
[2] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 febbraio 2003, n. 706; sez. V, sent. 6 settembre 1999, n. 1015; più di recente, TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 10 aprile 2020, n. 3886; TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 4 aprile 2017, n. 322.
[3] TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 10 marzo 2014, n. 710.
Immagine: iStock/Liudmila Chernetska
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